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Infrastrutture in mostra all’Ara Pacis. Come è cambiata l’Italia in un secolo

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Il XX secolo in Italia è stato tracciato da grandi trasformazioni sociali, culturali ed economiche. Nel 1901 l’Italia aveva una popolazione di circa 33milioni di abitanti che vivevano in aree prevalentemente rurali. La mortalità infantile era elevata, l’aspettativa di vita era molto breve e si attestava intorno ai 43 anni. Il 50% degli Italiani non sapeva leggere né scrivere. Ogni anno circa 600mila persone emigravano all’estero, alimentando un fenomeno che supererà 10 milioni di espatri in poco più di un decennio.

L’Italia era un lungo stivale da collegare, costruire e mettere in comunicazione. Mancava tutto, dall’energia elettrica che arrivò solo nel 1900  in alcune grandi città, a strade, dighe, ferrovie, porti e aeroporti. Mancavano le infrastrutture, quelle grandi opere che una volta costruite, avrebbero cambiato il volto dell’Italia, trasformandola da Paese rurale a nazione tra le più industrializzate al mondo. Una infrastruttura di prossima realizzazione è il Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera faraonica di cui si discute da tempo, avviata a un imminente inizio di realizzazione. Lo costruirà il Gruppo Webuild, leader nella costruzione di grandi opere in Italia e all’estero.

Webuild ha ideato una mostra ipertecnologica allestita al Museo dell’Ara Pacis. Evolutio. Building the future fot the last 120 years racconta come le infrastrutture realizzate in 120 anni, hanno contribuito alla crescita dell’Italia. Sono opere di ingegno e di arte che hanno valore strategico e identitario. Raccontare la storia delle infrastrutture con un progetto culturale e divulgativo, significa ripercorrere le tappe di una prodigiosa crescita dell’Italia. Come riferiscono tecnici e addetti all’allestimento del progetto espositivo all’Ara Pacis, si tratta della mostra più tecnologica che il museo abbia mai ospitato. Il visitatore è accolto e coinvolto in un viaggio sorprendente tra passato, presente e futuro. Un flusso continuo di infrastrutture documentate da fotografie, video, installazioni immersive multimediali e interattive.

Un patrimonio da custodire con cura e conoscere con consapevolezza anche grazie al Museo Digitale delle infrastrutture che raccoglie materiali inediti. È una mostra affascinante che ci ricorda come abbiamo vissuto, chi siamo stati e chi siamo adesso, con un percorso che comincia con le valigie degli emigrati e termina con il prototipo del ponte sullo Stretto di Messina. Una sfida, come tante altre affrontate e vinte. Un racconto delle generazioni passate per le generazioni presenti e future. Fino al prossimo 9 novembre è possibile ripercorrere e conoscere in modo immersivo, l’evoluzione dell’Italia negli ultimi 120 anni.

Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero incontra Bruno Genovese, curatore artistico della mostra.

Bruno Genovese

Perché nasce Evolutio?

La mostra nasce e ruota attorno a una domanda per capire come sia stato possibile per l’Italia, riuscire a diventare uno degli otto Paesi più industrializzati al mondo, partendo da una situazione di tutt’altro tipo.

La mostra racconta l’ultimo secolo. Com’era l’Italia a inizio Novecento?

L’Italia era un Paese profondamente diverso, con un PIL derivante prevalentemente dall’agricoltura. Gli Italiani avevano una aspettativa di vita molto bassa, erano in prevalenza analfabeti e non avevano lavoro. E’ però accaduto che l’Italia sia arrivata a entrare prima nel G6 e poi nel G8. La mostra indaga il ruolo che hanno avuto le infrastrutture nella crescita dell’Italia?

Cosa è accaduto e per merito di chi?

Il merito è delle persone che hanno avuto visione, saper fare e capacità costruttiva per realizzare infrastrutture fondamentali per l’Italia.

Le infrastrutture come hanno cambiato l’Italia?

Le infrastrutture hanno saputo rispondere a tutte le esigenze che si sono via via manifestate e a volte le hanno addirittura anticipate. Le grandi opere hanno certamente creato progresso. Il bisogno di energia elettrica negli Anni Trenta è stato soddisfatto attraverso la costruzione di centrali idroelettriche, l’unica materia prima che ci consentiva di creare energia. Successivamente, negli Anni Quaranta, si sono sviluppate dighe per l’irrigazione, acquedotti per l’acqua potabile.

Esattamente, le città sono cresciute nel tempo e diventate  sempre più popolose. All’interno delle città sono state istituite commissioni per seguire la crescita e l’estensione.

Dove si parte per costruire una mostra che attraversa e ricostruisce cambiamenti epocali?

Noi siamo partiti dalla consultazione di un importante archivio di documentazione. L’Archivio Webuild copre circa 120 anni di storia con una ricca documentazione, più di un milione e mezzo tra fotografie e video di autori molto importanti. E’ un archivio che abbiamo studiato e voluto valorizzare, raccontandolo ai visitatori.

È una storia solo di opere?

È una storia di opere e persone, le infrastrutture certamente ma c’è anche la storia delle persone che hanno costruito queste opere.

Come si costruisce una mostra che sa di storia e ipertecnologia?

Con Webuid condividiamo una tradizione di mostre innovative. Abbiamo cercato insieme un nuovo modo di raccontare le opere di infrastrutture. Molte persone sono abituate a guardare le infrastrutture, senza sapere che hanno un significato molto più profondo in quanto hanno generato progresso. Per questo abbiamo approfittato delle possibilità tecnologiche per far immergere le persone direttamente nelle infrastrutture o nei cantieri. Con i cantieri torniamo a raccontare le storie delle persone e al loro saper fare nelle costruzioni.

L’immersività cosa aggiunge alla narrazione?

La parte di immersività è importante perché serve ad alimentare una emotività attorno a queste opere ma anche una maggiore conoscenza. L’immersività aiuta il visitatore a comprendere come sono state costruite e quali capacità servono per costruirle. Inoltre si capisce tutto il lavoro necessario per costruire le grandi opere, un aspetto spesso disatteso o non immaginato.

Nel percorso espositivo ci sono suggestioni storiche…le valigie degli emigranti, vecchi utensili da cucina, il richiamo a riti e consuetudini. Perché si è pensato a questi inserimenti?

Abbiamo cercato di valorizzare il rapporto tra la mostra e l’Ara Pacis. Augusto, nell’antica Roma, ha commissionato tante opere molto importanti. Nella Sala dei ponti abbiamo costruito un legame visivo con l’Ara Pacis perché un ponte collega non soltanto due sponde ma anche culture ed epoche diverse. La storia in mostra inizia nel 1900 ma  moltissime persone, soprattutto i più giovani, non immaginano neanche cosa volesse dire vivere ai primi del Novecento. Pertanto abbiamo utilizzato materiali poveri e oggetti reali, per creare immediatezza nel racconto del Novecento. Poi la narrazione evolve, si aggiungono le fotografie e le tecnologie e il racconto diventa sempre più articolato. Nella sala degli Eroi nascosti si vede come sono molto cambiate le modalità di costruzione ma sono cambiate anche le sfide che sono sempre più alte nel costruire opere di infrastrutture.

Il prototipo del Ponte sullo Stretto di Messina chiude il racconto della mostra. Dove viene idealmente condotto il visitatore?

Il ponte è una delle infrastrutture da realizzare, sicuramente una delle più affascinanti. È un’opera che fa sognare perché ha in sé qualcosa di filosofico. Il ponte, oltre a unire due sponde, dovrebbe unire utilità e bellezza ma unisce anche culture ed epoche diverse. Abbiamo voluto utilizzare questo pozzo di luce, un collegamento tra l’Ara Pacis e l’area sottostante, per creare noi stessi un ponte che possa raccontare le infrastrutture.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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