Una bella storia italiana approdata a New York a passo di danza. Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero incontra Antonio Fini, danzatore, coreografo, produttore, ideatore e direttore di due festival, il Fini Dance Festival Italian International Award a New York e il Fini Festival in Calabria. Il pubblico televisivo lo conosce anche come Giudice speciale di Ballando on the Road, talent show itinerante, spin off di Ballando con le Stelle.
Come fa una storia che parte a passo di danza da Villapiana Lido in Calabria, ad approdare a New York e collezionare tanti successi?
Sono partito per New York con una borsa di studio della durata di sei mesi per studiare alla Compagnia dei giovani della Martha Graham Company e non avrei mai immaginato che la mia vita si sarebbe completamente trasformata e New York sarebbe diventata la mia città. I sei mesi iniziali sono diventati due anni, ho studiato alla Martha Graham per diventare insegnante della tecnica nel corso di pedagogia, terminato il corso ho ricevuto l’OPT, un visto che offre la possibilità di lavorare in America per un anno, tempo che ho utilizzato per impegnarmi con diverse compagnie e per fare l’audizione finale con la Martha Graham Company dove sono stato preso ma non contrattualizzato. Non è stata una storia semplice, ho affrontato e superato molti ostacoli legati al visto che scadeva, al coreografo della prestigiosa Paul Taylor Dance Company che non contrattualizzava danzatori con il solo visto artistico, alla green card difficile da ottenere. Sembrava ci fosse sempre qualcosa che mancava.
Fino a quando…
Il 2011 è stato l’anno della svolta, sono tornato in Calabria e ho cominciato a fare un Festival di danza nel mio paesino, una rassegna di due giorni che da allora sono sempre tornato a svolgere ogni anno. Nello stesso anno a New York ho dato vita al mio Festival, pertanto anche per questo, quando ho richiesto la green card, l’ho ottenuta in sole due settimane per meriti artistici. Una soddisfazione incredibile.
I Festival che ha fatto nascere, a New York e in Calabria, che ruolo hanno avuto?
Sono stati molto importanti entrambi, cresciuti parallelamente. Il Festival in Calabria, nato come rassegna di due giorni, è diventato un Festival che si svolge in due settimane, il Festival di New York è ormai una realtà importante e consolidata. Le due rassegne insieme hanno fatto crescere il brand Antonio Fini. Il Festival di danza è un Award per i danzatori italiani all’estero, perché vivendo in America ho scoperto che c’erano moltissime compagnie con danzatori italiani di cui si conosceva poco. Il Miami City Ballet esiste perché l’ha creato Edward Villella, un danzatore che ha il papà di Cosenza e la mamma di Napoli, talmente apprezzato che il ballerino russo Balanchine creò per lui la coreografia di una tarantella.
L’Italian International Dance Award a New York chi premia?
Premia i danzatori italiani che si sono distinti all’estero ed è una rassegna importante che si svolge ogni anno.
Che ruolo ha avuto Martha Graham e quanto sono stati importanti gli incontri giusti a New York?
Parlare di Martha Graham per la danza è come parlare di Picasso per la pittura. Martha ha sconvolto i canoni della danza, mi sono innamorato della sua tecnica già a Milano, al Teatro Carcano dove ho studiato e ho deciso di approfondirla a New York.
In cosa consiste la tecnica Martha Graham?
Immaginiamo una ballerina sulle punte, eterea. Martha Graham le ha tolto le scarpe e l’ha fatta diventare una ballerina molto terrena, non a caso Martha è definita la sacerdotessa della danza moderna. E’ una tecnica tridimensionale che dà la possibilità di cadere, imparando a cadere e a rialzarsi ed è per questo che mi ha rapito. Martha Graham, il suo dramma e la complessità della sua tecnica mi hanno trattenuto a New York. Sebbene la compagnia di Martha Graham festeggi 97 anni e la sua tecnica ha quasi 100 anni di storia, si evolve continuamente proprio grazie a chi la pratica. Per questo è la tecnica di Martha Graham e di tutti i danzatori che nel tempo l’hanno applicata.
Imparare a cadere è una metafora della vita?
Assolutamente sì e io di cadute ne ho avute tante, porte chiuse, contratti saltati ma ho sempre cercato di cogliere le opportunità. Sono stato chiamato a coreografare il Balletto Nazionale del Kosovo per caso, mi era stato rifiutato un contratto, sono tornato in Italia, a Fabriano ho mandato in scena una coreografia di Martha Graham Il Profeta di Dionisio e in teatro era presente la direttrice dell’Opera di Sofia, in Bulgaria, che il giorno dopo mi ha contattato e proposto di coreografare il Balletto Nazionale del Kosovo perché conosceva molto bene il direttore. Avevo 29 anni e sono stato catapultato in una prestigiosa compagnia, a creare la coreografia di un balletto che durava un’ora. Una grande opportunità personale e la possibilità di applicare e insegnare la tecnica Graham che un danzatore classico non conosce.
In Italia quanta voglia c’è di ballare?
Tanta, attualmente ci sono più iscritti alle scuole di danza che alle scuole di calcio. È in atto un cambiamento epocale, in ogni famiglia c’è un ballerino, dalla bambina che fa danza classica, al nonno che prende lezioni di tango, a chi va a imparare a ballare la bachata o la salsa. Il bisogno di danzare è insito in ognuno di noi, tutti cresciamo nella pancia della mamma dove il ritmo è scandito dal cuore, il movimento è innato in noi e si è sviluppato in tante culture, sempre associato a un augurio e a un buon auspicio.
La sua storia a passo di danza è cominciata con la tarantella?
In Calabria, nella Magna Grecia ma in realtà in tutto il mondo, la tarantella rappresenta il ballo della guarigione, perché ci si libera dal male attraverso il sudore e il movimento e qui il discorso si aprirebbe in maniera incredibile perché parliamo sempre di danza a livello teatrale o come svago ma in realtà la danza ha un significato molto più ampio e profondo.
L’Italia come risponde ai giovani che vogliono coltivare la danza nelle sue diverse declinazioni?
Molti giovani si sono avvicinati alla danza moderna anche grazie ad alcuni programmi televisivi. È necessario precisare che c’è una differenza sostanziale tra la danza vista in tv e la danza teatrale, una differenza che parte dalla durata del balletto, pochi minuti di esibizione in uno show televisivo per una danza che deve essere esplosiva, partenza a 100 e arrivo a 110. In teatro, con tempi più dilatati, c’è il respiro giusto per dare al ballerino possibilità di crescita e al pubblico la possibilità di fare un’evoluzione anche a livello introspettivo. La coreografia viene sentita intimamente dalle persone, vissuta interiormente, con un feedback emotivo molto forte. L’Italia offre importanti occasioni televisive ma è necessario capire che quella non è la vita di un danzatore. Purtroppo ci sono poche compagnie che offrono pochi contratti validi che permettono di fare solo il danzatore nella vita, ma ci sono anche piccole compagnie che ti permettono di danzare mentre fai anche altre cose, per esempio insegni danza, pilates, yoga. Anche a New York ci sono stagioni in cui ci si dedica interamente alla danza e altre in cui si fanno anche altri lavoretti che consentono di mantenersi.
Le borse di studio quanto sono importanti?
Sono delle ottime occasioni, rappresentano la conferma che sei sulla strada giusta. Grazie alle borse di studio ricevute, io dalla Calabria sono potuto andare a studiare a Milano e poi a New York. Oggi però c’è un eccesso di borse di studio, tutti partono e dicono di andare a studiare. In realtà le borse di studio devono essere accuratamente selezionate, bisogna capire bene dove portano, per fare cosa e con quali insegnanti. È frequente vedere centinaia di ragazzini, tutti insieme in una sala, per poco tempo ma questo genere di situazioni servono a poco e non offrono alcuna opportunità. Nel mio Festival in Calabria ho portato il modello della Summer School americana e io non faccio scegliere ai ragazzi che frequentano, quali lezioni seguire ma tutti devono fare tutto il programma che io scelgo per loro, tante ore di lavoro intenso.
Sono partite altre belle storie a passo di danza?
Si, nel Festival in Calabria hanno ottenuto borse di studio Antonio Cangiano, un ragazzo di Napoli che ora lavora a New York con il Balletto Ispanico e Alessio Crognale anche lui a New York con la Martha Graham Dance Company.
Quanti significati ha il Festival della danza in Calabria?
Diffonde la cultura della danza, offre opportunità, muove l’economia. Due settimane di rassegna determinano un incasso di circa 150mila euro alle attività che sono sul territorio, linfa vitale per un paesino così piccolo. In questi anni non abbiamo mai avuto alcuna forma di sostegno pubblico.
Il Magazine Fini Dance che sta per uscire, a chi parla?
In America tutto è brandizzato sulla persona, perciò il mio nome compare nei Festival che organizzo e nel magazine che sta per uscire. Il Magazine Fini Dance offre l’opportunità di rimanere in contatto con le scuole che mi seguono da tanti anni, per dare loro fiducia e con il nome del Festival, Fini Dance, per dare maggior luce e visibilità a tutti i danzatori italiani che non sono solo Roberto Bolle e Alessandra Ferri in rappresentanza della danza classica.
Ma non c’è solo la danza classica…
Infatti il mio magazine si propone di far capire che non c’è solo la meta della danza classica ma è importante tutto il percorso artistico. Sono andato in Mississippi e ho conosciuto una coreografa che in uno dei 9 licei artistici nati sul modello di Fame esistenti in America, tutti finanziati dallo Stato, fa un lavoro bellissimo che guarda in tante direzioni. In America ci sono fondazioni che aiutano i ballerini nella transizione, per crearsi la seconda carriera se non si sentono portati a fare gli insegnanti o a restare nel feeld della danza.
Il pubblico italiano la conosce per il ruolo di Giudice speciale di Ballando on the road, il talent show spin off di Ballando con le Stelle, un talent itinerante aperto a tutti gli stili di danza e agli appassionati di ogni età che vogliono misurarsi con le proprie capacità. Un grande riconoscimento?
Milly Carlucci è una persona straordinaria che ha creato l’opportunità di far vedere l’Italia che danza, in tutti gli stili e a tutte le età. Io sono il Giudice speciale che nel programma pomeridiano del sabato, sceglie tra le unità di ballo che si esibiscono, chi parteciperà al programma serale di Ballando con le Stelle e tra questi l’unità di ballo da invitare a New York. Nell’edizione che si è conclusa da poco, ho scelto una coppia di ragazzi che ballano il latin show e fanno tante competizioni sportive perché la danza è anche sport e competizione, non a caso abbiamo una collaborazione con il CONI. Vorrei offrire loro la possibilità anche di partecipare alla summer school dove ci saranno anche molti direttori di compagnie, in un contesto in cui si fa una danza più centrata sull’intrattenimento. È l’occasione per coinvolgere i ragazzi che fanno latino anche con le materie della danza moderna e contemporanea.
Ballando con le Stelle si apre anche ad altri stili di danza?
Milly Carlucci è sempre più alla ricerca di maestri che hanno la possibilità di spaziare e di aprirsi ad altre danze. C’è bisogno di formare i danzatori moderni esattamente come si fa nella danza classica.
La Calabria ha fatto da scenario a ogni esibizione dei giovani talenti in tv?
Una sorpresa anche per me questa collaborazione della Regione Calabria con la RAI. Ogni danza ha avuto come scenografia una parte della nostra regione. Quest’anno il Festival torna ad Altomonte, un bellissimo borgo in provincia di Cosenza.
Cosa rappresenta l’audizione per chi vuole fare danza?
È un momento importante che ciascuno deve affrontare nella consapevolezza che si può essere scelti per tanti motivi, anche semplicemente per sostituire qualcuno che ha la stessa altezza, la stessa taglia di chi deve essere rimpiazzato e quindi entra nei suoi costumi. Quando si fanno le audizioni, non si può mai sapere come andranno, chi c’è dall’altra parte e quali sono le sue esigenze. È per questo che ho prodotto un documentario, Dance The Audition, ora disponibile su Rai5 e su Amazon, che parla del mondo delle audizioni, un modo per informare ma anche per elaborare i no che mi sono stati detti. Il documentario contiene notizie utili, feedback che aiutano a crescere, ma è anche l’occasione per continuare a selezionare danzatori.