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Luciano Pavarotti, il tenore pop che ha fatto cantare il mondo

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Un mito e un film che lo racconta. Luciano Pavarotti è leggenda nel mondo, Voglio vivere così…e felice canto è il docufilm che ha incantato il pubblico italiano con la vera storia di una persona, diventata personaggio, icona planetaria di musica e bel canto italiano. Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero, incontra Leonardo Metalli, autore del docufilm trasmesso su Rai 1, Rai Italia e attualmente visibile su RaiPlay, che ricostruisce particolari inediti di una vita bellissima, vissuta in musica, con compagni di viaggio celebri e compagni di culla con i quali la sua storia è cominciata.

Leonardo Metalli, come nasce l’idea di un docufilm su Pavarotti, non era stato già detto tutto?

L’idea di raccontare la vera vita di Pavarotti nasce dalla volontà di farlo con una chiave nuova, attraverso le persone che hanno cresciuto Luciano e che sono cresciute con lui, cosa che non era stata mai fatta prima, nemmeno dal regista Ron Howard, autore dell’ultimo film su Pavarotti, che scelse di fare la storia dell’opera di Luciano. Il duetto Luciano Pavarotti e Lucio Dalla in un evento del Pavarotti & Friends, che la moglie Nicoletta Mantovani mi ha raccontato nel docufilm su Lucio Dalla, mi ha incuriosito ed è stato lo spunto per raccontare la vera storia di un tenore considerato all’estero un super eroe, ancora oggi idolatrato come una specie di effigie della musica mondiale. L’idea, accolta con entusiasmo da Nicoletta Mantovani, si è concretizzata in un docufilm.

Come si costruisce un film su Pavarotti?

Siamo partiti da una ricerca d’archivio per trovare le testimonianze di persone che purtroppo non ci sono più, a cominciare dai genitori di Luciano. Ho trovato quasi subito due contributi determinanti, le testimonianze dei genitori che si erano perse negli archivi RAI, trasmesse solo all’estero e mai andate in onda in Italia. Il papà Fernando, la mamma Adele, la sorella Gabriella, gli amici della parrocchia che Luciano frequentava, i compagni della Corale Rossini, un gruppo con una storia musicale importante che parte dall’Ottocento e dove Luciano ha iniziato, grazie al padre tenore dilettante ma molto dotato, a fare le prime esperienze da cantante. La sua storia si è delineata come una sceneggiatura.

Una storia che parte da Modena

A Modena ci sono i luoghi dove Pavarotti è cresciuto negli anni Quaranta, una città già allora ordinata e molto avanti anche nell’organizzazione sociale. La mamma di Luciano lavorava in una fabbrica di tabacchi statale, dove era stata allestita una stanza dei bambini per le operaie che portavano i loro figli ad allattare alle balie, perché loro, lavorando il tabacco, non potevano farlo. Luciano ha passato i primi tre anni della sua vita in questo baliato e ha conservato per tutta la vita rapporti di amicizia con i suoi compagni di culla. A Modena c’è ancora oggi il forno del papà, rimasto incredibilmente uguale a come era negli anni Quaranta e dove tutti ricordano Fernando, il panettiere che consegnava il pane cantando in giro per Modena. Il docufilm fa vedere i luoghi di Luciano, la casa in cui è nato, dove al piano di sopra abitavano anche i nonni.

È una storia che ricostruisce particolari inediti?

Si, perché racconta la storia avvincente di Pavarotti, passata attraverso esperienze e trasformazioni, che parte dalla crescita dell’artista e arriva all’evoluzione ultima, l’incontro con il pop. Adua Veroni, la prima moglie di Pavarotti, parla della famiglia di donne che lo circonda, le tre figlie avute insieme, la madre, la sorella. Nicoletta Mantovani racconta la seconda vita di Luciano, con il passaggio del tenore più famoso al mondo dall’opera pura alla sua attualizzazione, attraverso la canzone napoletana e l’esperienza con i tre tenori.

Un incontro che il docufilm ricostruisce dalle prime prove

Ho trovato le prime prove in uno studio della Rai che nessuno ricordava, i primi incontri tra Zubin Metha, Luciano Pavarotti, Placido Domingo e Josè Carreras. Erano gli incontri preparatori per la tournée che parte da Caracalla e fa poi il giro dell’universo, con un successo straordinario. Sono momenti magici in cui i tenori scherzano tra loro, guidati da Luciano che era indubbiamente il boss canoro del progetto ma anche un capo clack di simpatia.

Com’era la personalità di Pavarotti?

Assolutamente carismatica e molto simpatica. Luciano era un compagnone, un uomo che amava scherzare, con un incredibile rapporto con il cibo, inteso anche come modo per stare con gli altri.

Uno dei suoi amici racconta che una volta mangiarono trentaquattro uova, accompagnate da otto bottiglie di vino ed erano solo in quattro

E altrettanti racconti fanno i suoi amici ristoratori e cuochi. La storia di Luciano Pavarotti è anche legata al suo rapporto con il cibo, alle ricette che raccoglieva in giro per il mondo e che poi riproduceva.

Che effetto fa visitare la sua Casa Museo a Modena, tra simboli e ricordi?

Nella casa di Modena c’è tutto il suo mondo perché Nicoletta, la sua seconda moglie, ha custodito e minuziosamente collezionato tutti i suoi amuleti e gli oggetti personali, nel luogo in cui hanno vissuto insieme e che oggi è diventato un museo, uno dei punti di riferimento e di visita anche per tanti stranieri. Ci sono i premi vinti, i ricordi dei grandi incontri, le tante opere di beneficienza realizzate con la Fondazione Pavarotti, l’amore per i bambini. Entrando nella casa, si entra nella meravigliosa vita di un tenore conosciuto in tutto il mondo, che ha fatto tanto per i giovani avvicinandoli all’opera.

Il film racconta anche Pavarotti pittore gioioso e naif?

Non solo pittore, ma anche disegnatore perché la casa di Modena è stata interamente disegnata da lui, a partire dal tetto che si apre in due con una parte in vetro trasparente. È stato capace di trasformare un vecchio casale in un’opera di design che parla di lui, con la scala color rosso sipario come il palco del teatro dell’opera, i corrimani disegnati personalmente, la ringhiera con le note. Pavarotti aveva una grande capacità artistica in senso ampio, tanto che a un certo punto si è messo a dipingere e nella casa ci sono una serie di suoi quadri bellissimi, di genere naif, pieni di colori.

Il giallo era il suo colore preferito

Si, perché Luciano amava il sole e infatti la sua casa è tutta gialla, con tantissime finestre.

New York perché è stata tanto importante per Pavarotti?

L’Italia considera Luciano Pavarotti un grande artista, ma all’estero la sua fama è strabiliante, lo considerano un eroe della musica mondiale. Il Metropolitan Opera House di New York invitò Pavarotti, subito dopo lo straordinario concerto di Londra che lo lanciò nel mondo, per una esibizione che ebbe un grandissimo successo e una eco planetaria. Pavarotti riconobbe in New York la stessa energia che animava lui, una energia solare, cominciò a vivere e ad amare la città, facendo una serie di incontri con personaggi importanti, tra i quali il grande ristoratore Tony May, pioniere della cucina italiana in America. Tony May è mio suocero, pertanto ho potuto avere accesso agli archivi dei suoi grandi ristoranti, soprattutto il San Domenico dove Luciano Pavarotti era di casa anche perché comprò un appartamento nello stesso edificio, pochi piani sopra al San Domenico, a pochi metri dal Metropolitan Opera House e da Central Park dove nel 1992 fece un memorabile concerto gratis per 500mila persone. Pavarotti trovò in Tony May il punto di riferimento perfetto, il trait d’union tra musica e cibo che accresceva la sua popolarità perché ristoranti di Tony May erano frequentati dalle star della musica internazionale. Luciano spesso cantava al Metropolitan Opera House e ancora truccato di scena, andava al San Domenico a mangiare con gli amici e poi tornava a casa. A volte si esibiva anche al San Domenico, come una sera memorabile in cui con Placido Domingo e Josè Carreras fecero insieme una piccola esibizione.

Cosa mangiava da Tony May?

Cappelletti in brodo cucinati all’antica tradizione modenese, il bollito, tutte le cose italiane che a lui piacevano e che Tony May gli faceva trovare. Nicoletta Mantovani ha pubblicato un libro con tutte le ricette di Pavarotti di cui prendeva nota lui stesso in giro per il mondo.

In occasione del docufilm Voglio vivere cosi… e così canto, NIAF, National Italian American Foundation, lo ha premiato alla memoria

Pavarotti era vicino alla NIAF, ha partecipato due volte al gala annuale, amava gli italoamericani, nel 1980 era alla parata del Columbus Day sfilando su un bellissimo esemplare di cavallo di grande stazza, alla presenza del presidente Carter. Il particolare che non si conosce è che Pavarotti indossava, in quella occasione, un giubbotto antiproiettile sotto la tunica con cui sfilava perché era stato diramato un allarme attentato, era infatti affiancato da due poliziotti della Police New York Department che gli sfilavano accanto come due angeli custodi. L’incontro con Carter fu storico, abbiamo voluto ricordarlo e NIAF, il cui presidente Allegrini ha conosciuto bene Pavarotti, lo ha premiato con una pergamena che oggi è esposta nella casa museo di Modena. Un bellissimo tributo alla Memoria degli italoamericani a Luciano Pavarotti.

Come viveva quando andava in concerto?

Viveva in albergo per un mese, affittava una suite e al centro faceva installare una cucina dove cucinava personalmente. Si faceva portare gli ingredienti freschi, pomodorini e altre cose, e preparava piatti per sé e per gli amici. È proprio in una occasione come questa che il presidente della NIAF Allegrini lo ha conosciuto, quando era direttore di un importante albergo a Boston.

Il docufilm è anche un bellissimo viaggio tra immagini d’archivio, c’è perfino la partecipazione allo Zecchino d’Oro

Si, abbiamo raccontato l’incontro con il Mago Zurlì e con Topo Gigio e la canzone 44 gatti cantata con i bambini del Coro Dell’Antoniano di Bologna.

Il Pavarotti & Friends cosa ha rappresentato nel suo percorso artistico?

Una sterzata pop, nata quasi per caso perché Zucchero aveva scritto il brano Miserere che a un certo punto prevedeva la voce di un tenore. Volendo sottoporla a Pavarotti, registra una cassetta con la voce tenorile interpretata da un giovane Andrea Bocelli, allora artista di piano bar, si fa invitare a pranzo da Luciano, cerca di fargli ascoltare il brano per interessarlo, perché era lui che Zucchero voleva come interprete. Pavarotti nicchia, Zucchero getta la cassetta nel camino, Luciano si dispiace credendo fosse l’unica copia, alla fine quando riesce ad ascoltare il pezzo, accetta di registrare il brano. Vanno insieme a Pesaro dove registrano nella casa di Luciano con un enorme studio di registrazione mobile che era quello dei Rolling Stones e da lì comincia a costruirsi quell’evento planetario che sarà il Pavarotti & Friends che nelle intenzioni doveva essere solo un concerto tra amici per lanciare Miserere. Il prossimo docufilm a cui Nicoletta Mantovani sta già pensando, racconterà cosa questo evento ha rappresentato per la musica mondiale e come la svolta pop di Pavarotti ha portato tanti artisti ad attualizzare le loro canzoni in versione operistica. Luciano ha potuto partecipare a capolavori pop di tutti i tipi.

Tra i tanti capolavori, il docufilm ricorda Grande Grande di Tony Renis, interpretata con Celine Dion

Anche dietro questo duetto c’è una storia bellissima, perché avrebbe dovuto essere Mina a interpretare Grande Grande ed era lei che Pavarotti voleva. Non potendo cantare con Mina, Tony Renis decise di internazionalizzare la canzone e di affidarla alla voce inimitabile di Celine Dion.

Il PalaPavarotti a Modena, un sogno per ora irrealizzato, che lascito sarebbe stato per la musica e per l’Italia?

 Luciano aveva la bellissima idea di realizzare, in uno spazio di fronte alla sua abitazione, un Auditorium per 35mila persone, dove fare una scuola di canto, concerti e attività musicali. Purtroppo l’area non fu mai concessa dal Comune, ma si spera che una nuova valutazione del progetto abbia un esito positivo e che la Fondazione Pavarotti, tornata a organizzare attività per eventi benefici in America nel nome di Luciano, possa realizzare questo progetto nell’interesse della musica e del bel canto italiano.

Tu che m’hai preso il cuor…Pavarotti ha rapito il cuore di tutti, ma a lui il cuore chi gliel’ha preso davvero?

La musica! Poi anche le sue molteplici passioni, le donne, la cucina, l’amore per la famiglia, per l’arte, per la vita. Luciano Pavarotti ha disegnato, sotto il segno del sole, una storia che rimarrà per sempre.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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