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Caio Mario Garrubba, il fotografo della strada in mostra a Roma

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Chi è Caio Mario Garrubba? È una domanda che giustifica la necessità di una risposta, perché pur trattandosi di un gigante del fotogiornalismo mondiale, al pari di icone della fotografia come Henri Cartier-Bresson, Joseph Koudelka  e Robert Capa, il suo nome è ancora incomprensibilmente poco noto in Italia, dove è conosciuto solo tra gli addetti ai lavori e non dalla gente comune che è stata sempre al centro delle sue attenzioni di fotografo di strada, considerata teatro di vita e  costruttrice di storia.

“Quando vado in un posto nuovo, mi lascio portare dai miei piedi, vado nei mercati, nelle strade affollate dove sta la gente, il mio documento più importante” diceva Garrubba, per fotografare quando “non accade niente, ma è solo la vita che scorre”, come scrive Tano D’amico, maestro dell’arte fotografica che ha conosciuto bene Caio Mario Garrubba.

Le persone, sempre colte di sorpresa mentre passeggiano, dormono, giocano, osservano l’accadere della vita, sono  protagoniste di scatti che trasformano la quotidianità in storia, ritratti di gente comune che disegnano il racconto di un’epoca. L’imponente archivio di Garrubba, 100mila scatti fotografici, 60mila negativi, 40mila diapositive, è stato donato dalla moglie Alla Folomietov all’Archivio Luce nel 2017, due anni dopo la scomparsa del maestro. Parte da qui la riscoperta di un fotografo che ha documentato la vita quotidiana della gente ritratta in 4 continenti, scrivendone la storia silenziosa, quella che parla a distanza di anni, attraverso gli sguardi, le rughe, i sorrisi.

Caio Mario Garrubba, nato a Napoli nel 1923, cresciuto in Calabria, formatosi a Roma e morto a Spoleto nel 2015, ha attraversato la storia del XX secolo viaggiando in treno per fotografare e raccontare, con la sua macchina Leica,  l’Europa nelle sue trasformazioni traumatiche, la Spagna franchista,  la Cina di Mao. Tra i suoi scatti ci sono anche i grandi della Terra, Mao, Ho Chi Minh, Kennedy, Nixon, Chruscev ma il suo racconto più autentico era affidato alle persone osservate in strada, nei mercati, nelle metropolitane, a Napoli, Pechino, Mosca, Berlino, New York. Garrubba era un fotografo colto, che leggeva i romanzieri americani, Gramsci e Bakunin, che studiava i dettagli della pittura del Caravaggio e soffermava ovunque il suo sguardo curioso e libero. La libertà, cifra stilistica dell’uomo e dell’artista, non era per lui un concetto astratto ma si traduceva nel rifiuto perentorio a far parte in maniera organica di cordate editoriali, a  non lavorare per la Magnum, la più importante tra le agenzie fotografiche né a cedere alle tentazioni economiche della fotografia pubblicitaria. La libertà era essere un freelance della “fotografia stradale”. Eppure i suoi scatti sono stati pubblicati sulle riviste più importanti del mondo, Stern, Der Spiegel, Nouvel Observateur, Life, Guardian, Kristall, L’Express e su quelle italiane, Il Mondo di Pannunzio, L’Espresso, Epoca, La Repubblica e il  Venerdi, con il quale ha avuto un rapporto intenso.

L’Archivio Luce si conferma indispensabile istituzione culturale quando, oltre alla conservazione di un patrimonio fotografico prezioso, si preoccupa della sua condivisione, organizza una mostra e edita, con Cinecittà, un libro fotografico che restituisce Caio Mario Garrubba a una diffusa e consapevole conoscenza, quella che come tutti i grandi artisti, oggi assolutamente merita. “Caio Mario Garrubba. FREElance sulla strada” è il titolo dell’evento espositivo ospitato a Roma, a Palazzo Merulana fino al 28 novembre, inserito nel programma di Roma Fotografia 2021 FREEDOM, un festival organizzato dall’associazione Roma Fotografia, con il sostegno e il patrocinio di importanti istituzioni. Una selezione di 116 scatti, tutti in bianco e nero, per viaggiare idealmente nel tempo e nella storia, attraverso gli sguardi e i giochi dei bambini a Mosca come a Pechino, a Praga e a New York e di tutti coloro che colti nel flusso della vita quotidiana, hanno reso immortali pagine di storia comune.

Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano Stefano Mirabella, co-curatore della mostra e Maria Cristina Valeri, presidente di Roma Fotografia.

Stefano Mirabella

Chi è Caio Mario Garrubba?

Caio Mario Garrubba è stato un grandissimo fotoreporter italiano, forse dimenticato in fretta. Questa mostra vuole restituire all’ attenzione dell’opinione pubblica la grandezza di un fotoreporter che ha puntato il suo obiettivo sul quotidiano, raccontando la strada. Garrubba ha viaggiato molto per fotografare, da freelance, il mondo. Aveva un canale preferenziale in tutto l’Est europeo. E’ stato il secondo fotografo occidentale a entrare nella Cina di Mao, a raccontare la Russia, facendo il suo lavoro e portando a casa immagini importanti, scatti di politici che poteva rivendere, ma il suo vero amore era fotografare la strada. Garrubba ha scelto di fotografare il quotidiano attraverso il racconto delle persone, la loro gestualità, il loro vivere le piazze e i mercati.

La mostra espone una selezione di scatti scelti in una produzione molto vasta, selezionati per sottolineare quale aspetto?

La mostra vuole sottolineare l’innata propensione per la strada e per il racconto del quotidiano. E’ stato necessario un lavoro di un anno, con Emiliano Guidi, per selezionare 116 fotografie, estratte da un corpo lavoro di 60mila scatti, donati dalla moglie all’Archivio Luce che non solo li conserva, ma dà loro spessore, condividendoli con il mondo esterno. Sono fotografie che Garrubba chiamava “le mie fotografie stradali”, con i volti delle persone ritratti nella vita quotidiana.

I 116 scatti in mostra afferiscono a quale periodo della sua vita di fotografo di strada?

Gli scatti selezionati comprendono il periodo dagli anni ’50 agli anni ’80, i più attivi e vivaci della sua produzione. Successivamente, quando si è accorto che non riusciva più a fotografare come avrebbe desiderato fare, si è dedicato all’editing, allo studio delle sue immagini e alla creazione di libri fotografici. Il periodo d’oro della sua produzione è stato nel decennio a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, con una vena creativa che si riscontra raramente in altri fotografi.

La linea narrativa della mostra è la strada?

Si, è proprio la strada, tanto difficile da fotografare perché il  95% degli scatti fatti in strada è solitamente da buttare, la strada è faticosa, anarchica e imprevedibile, ha una vita propria che però sfugge alla maggior parte di chi la osserva. Non a Caio Mario Garrubba, che ne ha saputo cogliere le sfumature, quei dettagli preziosi ai quali era straordinariamente attento e che abbiamo seguito per selezionare le foto in mostra. Man mano che, con Emiliano Guidi, andavamo avanti nella selezione delle foto, trovavamo perle, foto che esprimevano una visione e una premonizione di alcuni linguaggi che ancora non esistevano, o non si erano concretizzati, nel mondo della fotografia. Garrubba ha anticipato, già dagli anni ’50, i linguaggi che sono poi appartenuti ai grandi fotoreporter dei decenni successivi, con immagini complesse e stratificate, con l’utilizzo delle quinte teatrali. La sua capacità di anticipare l’utilizzo di linguaggi che sarebbero maturati nel tempo diventando propri dei reportage d’autore, è diventato il nostro filo conduttore.

Caio Mario Garrubba ha fotografato 4 continenti, ma da dove è partito?

E’ nato a Napoli, ha vissuto molto a Roma e a Spoleto, si è formato nelle Gallerie d’arte e nei musei sviluppando una conoscenza a 360° del mondo dell’arte e della cultura.  Era un artista a tutto tondo che considerava la fotografia un mezzo per ambire alla libertà. Curiosità e spirito di libertà sono le cifre del suo fotogiornalismo.

Che posto occupa Caio Mario Garrubba nella fotografia di strada che nell’immaginario collettivo rimanda ai grandi fotografi americani?

La fotografia di strada in America è diventata un genere e un linguaggio con i grandi fotografi americani, William Klein, Alex Webb, Garry Winogrand ma questa mostra si propone di restituire Garrubba come il maestro indiscusso della fotografia del quotidiano, un precursore del fotogiornalismo di strada internazionale.

Maria Cristina Valeri

Roma Fotografia cos’è?

Roma Fotografia è una associazione culturale che da diversi anni organizza festival a Roma, con collaborazioni nazionali. All’interno del nostro festival, cerchiamo di far dialogare la fotografia con altre arti come la pittura e la danza ma anche con il mondo culturale e scientifico. La fotografia incrocia e dialoga con la nostra quotidianità, pertanto l’obiettivo del nostro festival è cercare il dialogo con le altre arti.

L’edizione 2021 per cosa si caratterizza?

Abbiamo concluso una call internazionale attraverso la quale abbiamo raccolto 10mila immagini provenienti da tutto il mondo che raccontano il tempo della pandemia. E’ un patrimonio documentale prezioso, perché le immagini documentano come la pandemia è stata vissuta dai cittadini in tutto il mondo, all’interno delle loro case, in un periodo in cui i fotografi professionisti non potevano viaggiare. Tutto il materiale sarà donato all’Archivio Fotografico dell’Istituto Luce e contribuirà a costruire la memoria futura.

Il festival Roma Fotografia 2021 Freedom cosa propone?

Cerca il dialogo tra i grandi maestri della fotografia, come Caio Mario Carrubba e i giovani talenti, con un focus sulla fotografia al femminile. La mostra che abbiamo allestito con le foto della call internazionale Freedom sono esposte nella Galleria Bresciani Visual Art, ma anche in video installazione nello spazio video room di via Merulana.

La sua definizione di fotografia intesa come arte?

La fotografia intesa come arte è un lavoro e un impegno che nasce da studio, applicazione e conoscenza del mezzo fotografico ma anche dalla visione armonica dell’immagine. La fotografia è sempre stata avanguardia nel mondo e noi crediamo che oggi essa debba presentarsi, anche all’interno di un festival, su presupposti nuovi.

Quanto è importante la sede ospitante per le mostre fotografiche?

La sede ha una sua rilevanza come luogo espositivo che valorizza i progetti degli autori, ma la fotografia deve uscire dai palazzi e mescolarsi alla quotidianità, deve essere accessibile a tutti. Con la Regione Lazio e il Comune di Roma abbiamo realizzato grandi video installazioni, sparse per la città, con la proiezione delle immagini sulle grandi facciate museali e le piazze, in modo che anche il cittadino non abituato ad accedere ai luoghi museali dedicati, possa iniziare a conoscere il linguaggio fotografico.

La fotografia incontra le nuove tecnologie?

Assolutamente si ed è per questo che noi collaboriamo da diversi anni con gli scienziati dell’Agenzia Spaziale Italiana e con chi lavora nel campo dell’intelligenza artificiale e predispone il nostro futuro tecnologico, perché la fotografia è uno strumento utile anche per questi ambiti.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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