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Roma “distanziata” nel racconto del regista Stefano Calvagna

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La 77esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, la più antica del mondo dopo gli Oscar, che ogni anno a settembre catalizza l’attenzione del mondo cinematografico internazionale, nella narrazione cinematografica del contemporaneo ha parlato di Roma in pieno lockdown. Le immagini della capitale del primo Paese europeo alle prese con l’emergenza sanitaria, diffuse e rilanciate dai media di tutto il mondo, hanno raccontato una Roma sola e tragica ma bellissima, che si riappropria di luoghi e monumenti, trae consolazione dalla sua storia millenaria e fa appello alle risorse della romanità per sdrammatizzare ed esorcizzare, suonando sui balconi, sventolando il tricolore e cucinando ricette della tradizione gastronomica romana. Roma ha vissuto la Fase 1 del lockdown sotto gli occhi del mondo, osservata, scrutata e narrata come città simbolo di un Paese che si è trovato improvvisamente a vivere in modalità sospesa, in attesa che il ciclone Covid esaurisse la sua potenza. Finita la fase calda dell’emergenza, Roma ha cominciato timidamente a svegliarsi e a fare i conti con la tempesta che l’ha attraversata, senza più tanti riflettori internazionali puntati addosso perché tutto sembrava essere stato già raccontato.

Ed è allora che Stefano Calvagna, apprezzato regista, orgogliosamente romano da 12 generazioni, accende la telecamera e va alla scoperta di Roma e dei romani, offrendo un microfono e ponendosi in ascolto di voci inascoltate, di storie piccole soffocate dalla storia grande, nuova e tragica di una pandemia a cui rischia di arrendersi  perfino la proverbiale romanità. E Roma parla, restituendo cifre che non sono solo numeri ma che raccontano costi diventati insostenibili, affitti da rescindere, dipendenti da licenziare, vite da ripensare, strade, piazze, borgate che cambiano dolorosamente volto.

“Distanziati”, realizzato come docufilm, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, dopo l’interesse suscitato diventa un film distribuito nelle sale, che racconta le conseguenze del lockdown a Roma, vissute in un respiro di quotidiana precarietà, da commercianti, ambulanti, ristoratori, proprietari di botteghe storiche, operatori del turismo, artigiani. Tanti romani alle prese con un lutto da gestire, perché è questo che in molti casi il ciclone Covid ha determinato sulla vita produttiva della città,  un lutto inteso come improvvisa mancanza  che sarà elaborato solo dopo i fallimenti, le chiusure, i licenziamenti nell’ambito di una economia completamente da ripensare,  in alcuni settori più che in altri, a cominciare dalle attività commerciali e turistiche del centro storico. La Roma distanziata documentata da Stefano Calvagna fa parlare anche gli ultimi, chi era già in difficoltà e ora è in disgrazia, chi era ai margini e ora non si sa. Tutte le testimonianze raccolte, dal macellaio alla escort, compongono il puzzle autentico e vero di Roma in epoca Covid.  

Osservatorio Roma e America Oggi incontrano il regista, che ha voluto e saputo guardare l’anima sofferente e avvilita di Roma, impegnata in uno sforzo di resilienza, dandole voce e raccontandola con onestà.

“Distanziati” che Roma racconta?

“Distanziati” racconta una Roma vera, non edulcorata, senza filtri, dove le persone che hanno avuto modo di confrontarsi con me, con Sandro Bersani e con il narratore menestrello David Capoccetti che ci ha accompagnati con la chitarra, si sono aperte completamente, raccontando una Roma sincera. Abbiamo girato senza aver prima scritto nulla, senza canovaccio o indicazioni concettuali, semplicemente ponendoci in ascolto di tutti, di chi non si è arreso e non si arrenderà e di chi invece ha dovuto soccombere, schiacciato dagli eventi, soffrendo la mancanza di aiuti concreti e adeguati da parte di uno Stato assente.

Lei è romano, sa perfettamente che Roma è di tutti, patrimonio dell’umanità. Ma Roma è anche dei romani che oggi come stanno?

Io sono romano da quasi 12 generazioni, la mia bisnonna aveva un cognome, Tiberti, che derivava etimologicamente da Tiber, il fiume Tevere. Sono cresciuto con una terminologia romanesca che esprime l’essenza della romanità, fatta di positività e fiducia che tanto, prima o poi, “tutto s’ aggiusta”.  Ne ho talmente bisogno che spesso mi vado a ricercare questo tipo di romanità nei ristoranti e nei locali di antica tradizione, dove tutto parla di Roma, dal cibo alle persone. Nel mio viaggio nella città dopo il lockdown, ho trovato sgomento e amarezza per quello che è successo ma anche tanta voglia di ricominciare… Ho ascoltato tanti dire “daje, pure si nun c’hanno dato na mano ce la famo, se rimboccamo le maniche e annamo avanti”. I romani sono stati profondamente toccati, hanno sofferto ma cercano di riprendersi con coraggio, con forza e soprattutto con ironia, buttando “in caciara” difficoltà vere da cui si cerca di risollevarsi. I romani che ho intervistato hanno agito di cuore, aiutandosi tra loro, continuando a pagare i propri dipendenti, annaspando tra affitti e scadenze, nella desolazione di aiuti promessi e non mantenuti. Il 95% dei commercianti che abbiamo ascoltato lamenta queste mancanze.

Roma gira a velocità diverse, una analisi recente individua 7 città nella città, dal centro allo sbocco sul mare. Per lei che si è messo in ascolto della città, quante voci ha oggi Roma?

Roma ha molte voci. Urbanisticamente si è molto estesa, arriva a Capannelle, sul Raccordo Anulare, a Roma Sud dove tra l’altro ho girato molte scene di “Distanziati”, un film che offre una visione della città a 360°, dalle periferie, al centro, a Roma Nord che è quella più elitaria. Oggi è la Roma del centro la più sofferente, negozi storici di Piazza Venezia stanno chiudendo, ristoratori di Piazza della Scala a Trastevere sono in seria difficoltà e stanno licenziando i propri dipendenti. Il centro di Roma ha perso il turismo, intono al quale era stata costruita una intera economia, la periferia si sta invece salvando grazie allo zoccolo duro di un bacino d’utenza che è sempre lo stesso e che oggi più che mai sceglie negozi di quartiere, valorizzando un commercio definito di prossimità.  La piccola bottega, negli ultimi tempi quasi fagocitata dalla grande distribuzione, si è rivelata essenziale continuando a offrire servizi ai cittadini anche durante il lockdown ed è stata quasi riscoperta. Mi auguro che le persone conservino memoria di questo e che continuino a servirsi della botteguccia di quartiere anche quando l’emergenza finirà. E’ anche questo un modo per essere solidali e il film lo racconta.  Ho intervistato un macellaio che ha fatto pacchi per la Caritas e per la Protezione Civile, in un clima che lui stesso definisce “da dopoguerra”. E’ la Roma autentica, è er core de Roma che non delude mai.

La storia che l’ha colpita di più nel suo viaggio tra le macerie della pandemia?

Non una ma le molte storie di chi sta per chiudere una attività dopo i tanti sacrifici affrontati per tirarla su, tra mutui e prestiti che corrono inesorabili, nell’indifferenza di chi non rinegozia affitti e non concede proroghe. Pensare a gente che ha investito sul sogno di una attività propria e che ora è costretta a chiudere, mi coinvolge molto anche perché io sono proprietario di una pasticceria a Londra che produce tiramisù e la mia azienda ha ottenuto subito, pochi giorni dopo il lockdown, 25mila sterline a fondo perduto che hanno permesso di guardare al futuro con una certa speranza. Mi hanno colpito i drammi di chi ha subito conseguenze psicologiche e psichiche pesanti da cui non riesce a tirarsi fuori, ho incrociato storie di depressioni che mi hanno intristito e preoccupato. Con il mio film spero di aver attirato l’attenzione su queste situazioni di disagio che necessitano di comprensione e sostegno. Nella mia produzione artistica ho sempre raccontato fatti di cronaca e in questo caso ho conosciuto e documentato situazioni in cui sono entrato dentro, che ho metabolizzato e anche esorcizzato cercando di fare un racconto vero e onesto. Molti degli intervistati avevano davvero bisogno di parlare a qualcuno che fosse realmente interessato ad ascoltarli.

Il Covid ha terremotato una città, la sua economia, sfibrato la socialità, ferito l’approccio romano alla vita. La romanità sopravviverà a tutto questo?

Credo e spero di sì, perché la romanità è abituata a combattere, fin dai tempi dei gladiatori. Il romano ha in sé la prerogativa di saper reagire alle sfide, barcolla ma non molla, cerca sempre di dare positività anche al momento negativo. Come emblema di romanità contemporanea, mi piace ricordare Franco Califano, l’autore di  1.500 canzoni, il poeta, il romano per antonomasia a cui ho dedicato un film “Non escludo il ritorno”, che è poi l’epitaffio che lui ha voluto incidere sulla sua tomba e un filmato, girato durante il lockdown dal titolo “Chiamata dar Maestro”, una telefonata che io faccio a Califano che mi risponde dal Paradiso o dal Purgatorio, non si capisce bene, nel corso della quale il Maestro dà coraggio e speranza a tutti, con la solita ironia e l’intelligente irriverenza.

Roma, abituata a ridere e deridere, a ironizzare e minimizzare, oggi come parla, come pensa, come gesticola? Il Covid come l’ha cambiata?

Roma oggi non gesticola più come una volta, come nei film di Alberto Sordi. Oggi si ha una forma mentis completamente diversa, ci sono meno sorrisi, le relazioni umane hanno un approccio più standardizzato e distaccato, meno autentico, meno romano.  I saluti tipici della romanità espressa con “Ciao bello de casa”, “ciao zì”, “ciao fraté” che tutti rivolgevano a tutti, ora si sentono meno e sono considerate forme un po’ coatte. Ma è un cambiamento non imputabile al Covid naturalmente, legato all’evoluzione naturale di una città aperta a tutti. Il Covid ci ha costretti alle mascherine, resi quindi meno comunicativi ma l’augurio è che torneremo presto a salutarci e a sorriderci con tutta la teatralità e l’espressività tipicamente romana.

“Distanziati” racconta Roma durante il lockdown o la fase immediatamente successiva?

Ho girato il film subito dopo la clausura, al termine di quella condizione quasi detentiva a cui mi sono adeguato come tutti i romani. E’ un viaggio nelle strade, piazze e borgate della città durato 3 settimane, girando tutti i giorni, dalla mattina alla sera, a botta calda per respirare e raccontare il clima reale di Roma dopo lo tsunami che vi si era abbattuto.

Roma non è nata per essere sola, la sua vocazione all’accoglienza ha fatto sì che la città pensasse strade, ponti, luoghi per aprirsi ai visitatori di tutto il mondo. Roma vuota e tragica nel lockdown che storia racconta?

Roma vuota e tragica ha fatto prendere a tutti una pausa di riflessione. Chi ama Roma ne ama anche il traffico e la dimensione a volte caotica, ma sentirsene parte in una situazione tanto singolare come quella che abbiamo vissuta, restituisce il senso di una appartenenza che commuove. Le volte che sono dovuto uscire per esigenze lavorative durante la clausura, mi sono trovato a vivere una città unica, inebriandomi delle sue bellezze, da solo io e Roma. Mi  piace pensare che  per una volta sono stato io a farle compagnia.

A Venezia come è stato accolto il racconto della sua Roma distanziata?

E’ stato accolto benissimo da tutti, ne hanno parlato tutti i telegiornali nazionali, con un interesse che ha anticipato la proiezione ed è proseguito anche dopo. Tutti si sono immersi nelle immagini di una Roma tanto particolare che io ho vissuto e raccontato camminandoci dentro, attraversandola e descrivendola con attenzione anche dal punto di vista cinematografico. Sono orgoglioso che il film restituisca allo spettatore il ritratto di una città bella, unica, inedita.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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