Il 25 novembre è la giornata internazionale ONU dedicata al tema della violenza contro le donne, che sovente si conclude con il femminicidio. La Roma politica e sociale si è mobilitata con iniziative istituzionali e della società civile per sensibilizzare l’opinione pubblica su un fenomeno che i dati Istat registrano in crescita esponenziale. Una donna ogni tre giorni è vittima di femminicidio, una ogni quindici minuti subisce atti di violenza, quasi sempre riconducibili alla sfera della propria affettività o al contesto lavorativo, con realtà sommerse e non denunciate che restano difficili da stimare. Il femminicidio, autentica emergenza sociale, è trasversale, non conosce confini geografici, economici e culturali.
La donna è spesso sola di fronte a un uomo violento e prevaricatore, possessivo e maltrattante che con modalità diverse ma codificate, comincia a limitarne la vita di relazione liberamente intesa, la realizzazione culturale e lavorativa, e poi spesso arriva all’omicidio. Si impone con urgenza una risposta legislativa dello Stato, calibrata non sull’emergenza ma strutturata in una visione prospettica di salvaguardia delle donne e dei loro orfani, figli di mamme uccise per mano del loro stesso padre, e una riposta culturale che, in raccordo con tutte le agenzie di formazione e socializzazione, affronti il tema della prevenzione con strumenti culturali efficaci. Le donne hanno bisogno di reti di protezione sinergiche, che consentano di intercettare il disagio, denunciarlo e superarlo.
Molte le organizzazioni sociali impegnate nella tutela della donna, a cominciare dalla straordinaria rete dei Centri Antiviolenza, tutte realtà espressione della società civile e tutte dialoganti con le istituzioni. Il 22 novembre il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri ha firmato un protocollo d’intesa con la “Soroptimist International D’Italia”, l’associazione mondiale di donne, Le Sorelle Ottime, di elevata qualificazione professionale, impegnate nel sostegno delle donne vittime di violenza, per disciplinare la collaborazione nell’ambito del progetto “Una stanza tutta per sé”, che prevede l’organizzazione di locali protetti nei quali accogliere le donne che denunciano e dei quali saranno attrezzate tutte le caserme dei Carabinieri, oltre le 100 già operative. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha accompagnato martedì 26 novembre le componenti della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Femminicidio in visita in una scuola di Roma, nel quartiere Tuscolano, per sottolineare la necessità di una cultura del rispetto di cui la scuola, prima agenzia di formazione, deve essere promotrice.
I Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica hanno simbolicamente illuminato di rosso le facciate delle rispettive sedi istituzionali come gesto simbolico ma pieno di significato per affermare con forza l’impegno contro la violenza alle donne. Nel cortile d’onore di Montecitorio il Presidente Fico ha inaugurato l’istallazione di una “panchina rossa”, simbolo della lotta contro la violenza sulle donne, presente anche nei parchi e luoghi pubblici di molte città, con inciso il numero telefonico 1522 del Centro antiviolenza. La Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ha ospitato a Palazzo Giustiniani e aperto il convegno organizzato dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Femminicidio sul tema delle molestie sul lavoro, delle quali molte donne sono vittime: una violenza di tipo economico che spesso non viene denunciata per salvaguardare il posto di lavoro o la possibilità di fare carriera. L’invito della Presidente del Senato a un approccio culturale forte che parta dalla famiglia e dalla scuola per rafforzare la prevenzione, l’appello a un linguaggio responsabile degli organi di informazioni affinchè non si parli di “amore malato”, locuzione pericolosa che rischia di derubricare le molestie, prosegue con l’affermazione di impegno sinergico di tutte le istituzioni a prendersi cura delle donne oggetto di violenza, sostenendole in “un percorso di prospettiva che consenta loro di rimettersi in gioco”, impegno che la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti ha assunto, comunicando la notizia dello sblocco dei fondi per gli orfani vittime di femminicidio, firmato il 25 novembre, con lo stanziamento di 30 milioni di euro a sostegno dei Centri Antiviolenza.
L’Osservatorio Roma per America Oggi ha incontrato la Senatrice Valeria Valente, Presidente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Femminicidio, e Melita Cavallo, Presidente Emerito del Tribunale dei Minorenni di Roma, per capire quale è oggi la risposta legislativa e giudiziaria a un dramma sociale che si consuma ai danni della donna “solo perché donna”.
Presidente Valente, perché una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Femminicidio?
Il Femminicidio è uno dei reati violenti che non conosce crisi e che non accenna a diminuire, quindi dobbiamo indagare quali sono le ragioni di un fenomeno che non riusciamo a contenere nonostante ci sia un impianto normativo abbastanza adeguato e soddisfacente. Queste sono le ragioni di una Commissione Parlamentare d’Inchiesta che sta verificando quali sono i punti di criticità, continuando i lavori della precedente Commissione, e credo di poter dire che finalmente siamo sulla buona strada.
Qual è la risposta legislativa a questo tema?
Il limite della risposta legislativa finora è stato di aver scelto di intervenire soprattutto sul piano della punizione e della repressione, con l‘inasprimento delle pene, con norme significative volte a reprimere il fenomeno. Si è fatto ancora troppo poco sul terreno della prevenzione. Abbiamo fatto scelte giuste ma non riusciamo ancora ad applicarle al meglio sulla protezione delle vittime. La prevenzione va fatta investendo soprattutto sulla scuola, con un patto vero con le agenzie educative, formando gli operatori affinchè ci aiutino anche ad attuare quelle norme sulla prevenzione in maniera più soddisfacente di quanto finora si sia riusciti a fare proprio perché manca una adeguata formazione e professionalizzazione degli operatori.
Qual è l’importanza del 25 novembre, giornata internazionale ONU contro il Femminicidio?
La giornata è importante perchè richiama l’attenzione della politica tutta, non solo di chi si occupa di questo tema 365 giorni l’anno, per interrogare le coscienze, per inquietare con numeri drammatici, per fare un salto di qualità nella lotta alla violenza, per l’abbattimento di stereotipi e pregiudizi, soprattutto tra le giovani generazioni, in una rinnovata alleanza con gli uomini, che vanno svegliati da una sorta di torpore e coinvolti a occuparsi di un fenomeno che va affrontato assolutamente insieme.
La Presidente del Senato ha aperto il Convegno sulle molestie alle donne sul luogo di lavoro, di cui Lei è stata promotrice. Perché un focus sul lavoro?
Un uomo attacca spesso una donna perché non le riconosce autonomia e libertà. Il lavoro è il mezzo attraverso il quale la donna afferma la propria indipendenza, quindi in quel luogo non si possono assolutamente tollerare abusi, sopraffazioni, molestie, ed è per questo che va pensata una disciplina giuridica ad hoc per aggredire i ricatti che molto spesso accadono nel luogo di lavoro ai danni delle donne, compromettendone diritti e libertà.
Presidente Melita Cavallo, quali sono le ragioni storiche e sociologiche del Femminicidio?
Il Femminicidio è la violenza di genere esercitata sulla donna in quanto donna, perché le si attribuiscono ruoli predeterminati in una determinata società dai quali non può uscire, che la collocano a stare in casa e ad allevare i figli, fedele ad un uomo che invece può non esserlo. La donna vittima di femminicidio muore solo perché donna. Il fenomeno è presente in tutte le culture, in ogni etnia, in Occidente come in Oriente, ha origini lontane nel tempo: in molte società è esistito il delitto d’onore che oggi è diventato femminicidio, e ciò che armava la mano dell’uomo era il senso dell’onore familiare. Oggi l’uomo è mosso da una gelosia malata, ossessiva verso una donna, che vede come oggetto servente e che non vuole sottrarre al suo controllo. Nel momento in cui la donna cerca di emanciparsi, scatta nell’uomo una violenza inaudita, spesso introitata fin dai primi anni di vita, forse perché vista esercitare dal padre nei confronti della madre, ricaricata da una società che oggi è sempre più violenta nei comportamenti e nel linguaggio.
Il Femminicidio trae le sue origini storiche in subculture arcaiche e arretrate. Oggi, nonostante le donne abbiano gli strumenti culturali per contrastare le violenze, il fenomeno appare ancora fuori controllo. Perché?
La donna, anche quando ha consapevolezza di avere accanto un uomo violento e maltrattante, assume spesso un atteggiamento “da crocerossina”, spera di poterlo cambiare, di correggere gli atteggiamenti volti a denigrarla, di contenere le violenze fisiche. Sovente non denuncia per amore dei figli, per rispetto della famiglia di origine, per condizionamenti sociali. La donna resiste e diventa soccombente, alimentando una escalation di violenza che parte come psicologica e si trasforma poi in violenza fisica, fino ad arrivare all’omicidio.
Il Codice Rosso, la legge dell’agosto 2019, è una risposta legislativa adeguata alla complessità del fenomeno?
Il Codice Rosso è una legge che ha riservato molta attenzione alla violenza contro le donne, cercando di proteggerle meglio con una punizione più dura e un inasprimento delle pene, anche se questo non è un deterrente per chi decide di uccidere. La legge ha il merito di aver introdotto il braccialetto elettronico agli uomini denunciati e condannati per atti persecutori nei confronti di una donna, e la cosa ha un grande significato perché, segnalando quando l’uomo si avvicina ai luoghi ai quali non può avvicinarsi per decisione del giudice, avvisa la donna del pericolo. La legge ha introdotto nuove figure di reato: il reato di sfregio, il reato di pornovendetta, il reato di induzione al matrimonio forzato; ma soprattutto ha introdotto la presunzione di urgenza, nel senso che quando la donna va a denunciare, la denuncia si presume urgente, e quindi è immediatamente trasmessa al procuratore della Repubblica.
La violenza contro le donne è una violenza di genere. Quali possono essere gli strumenti di contrasto?
Finora tutta la nostra legislazione in merito è stata ispirata alla Convenzione di Istanbul, firmata nel 2013, che si basava su tre P, la Prevenzione, la Protezione e la Punizione. La deterrenza della punizione è relativa, perché chi ha deciso di uccidere non si ferma pensando che le pene sono aumentate; la prevenzione invece va valorizzata nella famiglia, e soprattutto nella scuola, formando gli insegnanti affinchè siano in grado di dare ai ragazzi input positivi, abituandoli fin da piccoli a rifiutare ogni minimo accenno alle differenze di genere. Gli insegnanti e i dirigenti scolastici non devono minimizzare gli atti di bullismo, ma segnalare ogni situazione di disagio sia per sensibilità personale che in considerazione di un preciso dovere, che deriva loro dall’essere pubblici ufficiali.
Qual è la risposta giudiziaria dell’Italia a un fenomeno che ha dimensioni internazionali?
La risposta giudiziaria è una risposta ferma e determinata del legislatore, anche se purtroppo il problema è costituito dai tempi lunghi della giustizia. Insieme al procedimento giudiziario, e quindi alla giustizia che va a determinare la condanna del colpevole, ci dovrebbe essere sempre un sostegno forte per la donna, in caso di maltrattamenti, e per i nonni materni – “vittime collaterali” – che in genere accolgono i bambini in caso di femminicidio, “orfani speciali”, come li denomina la professoressa Anna Costanza Baldry, a cui è venuta a mancare la madre per colpa del padre.
Qual è il ruolo dei Centri Antiviolenza?
I Centri Antiviolenza hanno un ruolo molto importante perché la donna vi si può rivolgere per allontanarsi dall’abitazione in cui convive con un uomo maltrattante e chiedere aiuto, alloggio per se stessa e per i figli attraverso servizi di telefonia aperti h24. Le case alloggio sono gestite da donne che accolgono le donne maltrattate, vittime di violenze di cui portano spesso esiti fisici e non solo psicologici.
Il tema della prevenzione è un problema solo culturale?
Sicuramente anche culturale, ma non solo culturale. Per responsabilizzare la comunità è necessario che si conosca cosa significa essere maltrattate, perché la responsabilità è figlia della conoscenza. E’ importante capire cosa prova una donna che subisce violenza da un uomo, quindi sono necessari spazi di riflessione condivisa, manifestazioni pubbliche, tutto ciò che possa contribuire ad accendere un faro e a far sentire meno sole le donne.
“Solo perché donna” è il suo libro presentato in occasione della giornata internazionale contro la violenza alle donne. Un libro pensato per?
Un libro per tutte le donne, anche per quelle che non vivono situazioni di sofferenza affinchè sappiano cosa significhi vivere situazioni meno fortunate e apprendano gli strumenti e le modalità per essere utili a chi invece è nel bisogno, per fare comunità e per fare rete. Ciascuno può fare molto, dall’educazione dei propri figli al rispetto della donna, alla partecipazione attiva in associazioni a sostegno delle donne.
Il libro è dedicato alle donne in bilico. Chi sono le donne in bilico?
Sono quelle donne che vivono in una situazione di rischio e non se ne accorgono, o se ne accorgono ma pensano che domani sia un altro giorno. A queste donne va fatto capire che domani è un giorno peggiore di oggi se non provvedono a parlare con qualcuno che sappia fare una valutazione del rischio che corrono e consigliarle sul percorso da intraprendere per evitare che diventino vittime di femminicidio. “Solo perché donne” è dedicato a tutte le donne in bilico, per capire quale è la strada, per sfuggire la violenza, per trovare aiuto, per salvare i propri figli.