Una mostra, un’opera d’arte, due storie che nascono dallo stesso DNA biologico e artistico. Carlo e Fabio Ingrassia sono due artisti che espongono a Palazzo Braschi nella sezione Paesaggio della mostra Quotidiana. Sono fratelli, gemelli monovulari, sono una persona divisa e moltiplicata in due persone che con l’arte si ricompongono creando tra loro una nuova unità, scrive Michelangelo Pistoletto nel testo L’arte radicale di Carlo e Fabio Ingrassia da cui trae origine la mostra. La storia binaria di Carlo e Fabio comincia a Catania 38 anni fa, dove nascono figli di un padre appassionato di falegnameria artistica che li abituerà a comporre e scomporre gli oggetti. Il loro mondo è il disegno, gli strumenti che utilizzano sono matite affilate come aghi e colori pastello, con una singolarità che incontra l’individualità dell’altro e ricostruisce una unità, la stessa che è alla base della loro storia. Gemelli nella vita e nell’arte, costruiscono opere che lasciano il segno, realizzate con sovrapposizioni e stratificazioni dei segni che ciascuno di loro lascia lavorando sullo stesso centimetro quadrato e che si concretizza in una immagine complessa, risolta nel piccolo formato. Nella sala terrena di Palazzo Braschi dove è allestita la mostra, il visitatore vive un’esperienza, entra, individua un punto luce sulla parete in fondo, si sente fisicamente attratto, si avvicina e viene conquistato da un quadratino protetto da un vetro che contiene il mondo. Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero approfondisce con Carlo Ingrassia il significato di un’opera sorprendente ed emozionante.
La vostra arte in cosa è radicale?
Michelangelo Pistoletto concepisce come radicalità dell’arte un principio originario dove c’è il concepimento di un lavoro da parte di un duo che è un elemento archetipo del concepimento naturale dell’uomo, dove tutto è basato su un modello binario perchè noi abbiamo due occhi, due gambe, due braccia, due mani, anche il computer è fondato su un concetto binario. Io e mio fratello, lavorando sulla stessa opera, a volte contemporaneamente, a volte prima l’uno e poi l’altro, realizziamo un lavoro concepito come fenomeno della materia stessa, un lavoro naturale anziché naturalistico.
Come si può definire il vostro lavoro?
È un lavoro aggettante, non si vede, non è palesemente dichiarato, da lontano non ha una visione ma è percepito solo come luce alla quale ci si avvicina piano piano. È un lavoro che nasce da un nascondimento per svelarsi e per rivelarsi, per poi ritornare. È un andare, vedere e ritornare per non vederlo più.
Il visitatore vede il vostro lavoro e poi?
Lo ricorda. Il lavoro vive nella memoria, più nel ricordo che nel presente. Lo possiamo definire un istante presente, qualcosa che c’è, poi non c’è più ma si ricorda. Per questo non c’è un colore dato, ma c’è un colore percepito che forzi la materia stessa, che possa essere ricordato in maniera perpetua lungo un tempo.
Come vi siete ritrovati gemelli anche nell’arte?
Ci siamo ritrovati in un discorso artistico in cui ognuno di noi ha una sua tecnica e un suo movimento. Fin da giovanissimi abbiamo sempre fatto ricerca della materia, aiutandoci con lenti di ingrandimento per entrare nella materia, per vedere come era fatta. La ricerca si è sviluppata e visto che Fabio aveva una struttura del segno particolarmente definita, io un po’ più vellutata, abbiamo capito che il lavoro dell’uno poteva accogliere la mano dell’altro.
È una storia binaria
Si, noi abbiamo fatto tutto insieme, scuole d’arte, accademie, la nostra storia artistica racconta la nostra storia privata.
Il vostro lavoro quando è nato nelle forme in cui oggi lo realizzate?
Il nostro lavoro ha avuto un suo tempo, al di fuori di contesti accademici o altro. Come le donne hanno un loro tempo di gestazione per una nuova vita, così il nostro lavoro ha un suo tempo di maturazione che non va forzato in maniera innaturale. Iniziamo un lavoro ma non sappiamo mai quando arriveremo alla fine.
Prima della tappa al Museo di Roma, dove avete esposto?
Abbiamo esposto al Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, al MACRO, alla Galleria Nazionale di Roma, alla Galleria Zero di Milano, ma anche a Londra e in America.
L’opera selezionata da Quotidiana cosa racconta?
Il lavoro si chiama Astrazione Novecentesca ed è un piccolo scorcio di una finestra con edera rossa. E’ l’astrazione di una finestra che ci invita a osservare ma che in fondo ci allontana, è un lavoro che si autotutela dall’osservatore, vuole essere guardato ma a distanza.
Quale messaggio trasmette?
Ognuno lo legge con la propria sensibilità e genuinità.
Carlo come definisce in sintesi il rapporto con suo fratello Fabio?
Io siamo noi.