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Van Gogh arriva a Roma. E l’arte dà i numeri

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Roma celebra Vincent Van Gogh, l’artista più conosciuto e desiderato al mondo e l’arte dà i numeri, con file di visitatori in febbrile attesa per la mostra evento allestita a Palazzo Bonaparte che porta in Italia 50 opere straordinarie, compreso il celebre autoritratto su fondo azzurro olio su cartone del 1887, provenienti dal prestigioso Museo Kroller-Muller di Otterlo, dove si trova la collezione più importante del pittore olandese, seconda solo al Museo Van Gogh di Amsterdam.

Superbo l’allestimento curato da Arthemisia, azienda leader nella produzione di mostre evento, suggestiva l’immersione conoscitiva ed emozionale nel percorso umano e artistico del genio Van Gogh, tra luoghi, tempi e paesaggi che contrassegnano la sua breve ma intensa esistenza iniziata in Olanda e conclusa in Provenza. Il dolore compagno di vita, gli attacchi di follia, i ricoveri nell’ospedale psichiatrico, un orecchio mozzato, il tragico epilogo della sua vita interrotta dal suicidio. Trentasette anni di genialità e follia, di attenzione a volti, persone, a gesti e movimenti semplici di figure astoriche, rappresentate in opere riconoscibili e riconosciute di universale grandezza. La terra grande protagonista nei ritratti di figure dedicate al duro lavoro nella severa quotidianità, il seminatore, il mandriano, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne che trascinano sacchi di carbone.

Van Gogh dipinge e scrive, per raccontare la verità di un mondo che guarda con affetto e rappresenta come solo lui sa fare. Duemila le opere realizzate in soli dieci anni di attività, capolavori assoluti dell’arte mondiale, 821 le lettere scritte, 688 indirizzate all’amato fratello Theo. Van Gogh è oggi fonte di attrazione, desiderio e sogno per ogni appassionato d’arte, è il pittore che parla a un pubblico di ogni tempo e senza tempo ed è per questo che il suo successo mondiale si affranca dalla singola opera per condivisioni più ampie che trovano nei giovani e nei frequentatori assidui dei social, una platea appassionata. Nel mondo c’è una diffusa Van Gogh mania, un fenomeno creativo e inarrestabile che porta a utilizzare le sue opere iconiche come veicolo per lanciare messaggi chiari e comprensibili a tutti.

La mostra dà conto anche di questa particolare dimensione contemporanea di un artista straordinario che Fondazione Osservatorio Roma e ICN RADIO raccontano incontrando Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, storiche dell’arte e curatrici della mostra  e Costantino d’Orazio, studioso, saggista e curatore della sezione dedicata alla Van Gogh Mania che chiude il percorso espositivo romano.

Maria Teresa Benedetti

Cosa bisogna sapere di Van Gogh?

Era un uomo fragile, una creatura desiderosa di amore, costantemente alla ricerca di affetto, amicizia e approvazione che la vita ha compensato molto poco. Van Gogh è un pittore di sempre, perché rimane sempre legato alla realtà e nello stesso tempo è un artista del suo tempo che rappresenta un mondo in via di trasformazione, dove gli umili vivono una vita grama ma nutrita di spiritualità. L’arte si afferma attraverso le nuove tendenze che sono l’impressionismo, il neo impressionismo e anche il simbolismo, che non è una fede che lui abbraccerà, ma anche lui a un certo momento sarà il creatore di una sovra realtà, quindi c’è il realismo ma c’è anche l’aspirazione che questo realismo sia un valore eterno, non una cosa transitoria, non una realtà documentabile solo in un momento.

Il percorso espositivo comprende 50 opere selezionate tra le moltissime realizzate da Van Gogh. Quanto lo raccontano e in cosa?

Lo raccontano durante il suo travagliato percorso artistico e umano, nel corso del quale l’esperienza artistica e umana sono state inscindibili fino al drammatico epilogo.  Il periodo olandese è rappresentato molto bene da una ventina di opere, disegni acquarellati, pastellati ed elaborati, e dalle opere di pittura. Comincia a dipingere e a disegnare anche se la sua vicenda creativa dura soltanto dieci anni, dal 1880 al 1890, senza riuscire in vita a inserirsi nel mercato. Nel 1990 sono andata alla mostra del centenario di Van Gogh ad Amsterdam, si capiva come lui fosse legato al momento storico, fosse anche un po’ retrò rispetto al momento che viveva perché c’erano già le avanguardie sociali che chiedevano diritti, invece per Van Gogh il contadino, il seminatore, il mandriano, il boscaiolo sono tutte figure astoriche, di una realtà spirituale che rappresenta la vita nella sua voglia di guardare a valori non temporanei e anche di testimoniare un’esistenza modesta ma piena di luce.

Una mostra può aiutare a diventare amici di Van Gogh?

Sicuramente, credo proprio di sì.

Costantino D’Orazio

Trentasette anni di genialità e follia ma chi è stato davvero Van Gogh?

Van Gogh ha in realtà dipinto per soli dieci anni, perché ha impiegato molto tempo per decidere cosa fare nella vita. Ha lavorato come mercante d’arte, come predicatore tra i poveri del Belgio e poi ha deciso che questi poveri potevano diventare i primi soggetti da disegnare, ritrarre e dipingere. E’ iniziato così un percorso forsennato, perché in dieci anni ha dipinto oltre ottocento opere, oltre ai disegni, che lo hanno portato a raccontare la povertà e la sofferenza delle persone che lo circondavano. Ha cominciato però anche a scavare in se stesso, sono famosissimi i suoi autoritratti, ben quarantatrè, che ci permettono di vedere non solo come sia cambiato il suo aspetto nel corso degli anni, ma come sia maturata un’angoscia dentro di lui, dovuta soprattutto al fatto che la sua pittura non era compresa, per i colori accesi e i segni molto vergati sulla tela, mentre all’epoca andava di moda la pittura di storia con le figure confortanti o la pittura impressionista che però non esprimeva sofferenza. La sua sofferenza ha preso il sopravvento.

Quando siamo di fronte a un tramonto su un campo di grano di Van Gogh, non vediamo solo la bella immagine di una luce romantica, ma l’incertezza, i sogni e i desideri di questo giovane ragazzo che in fondo non riusciva a trovare un posto giusto nel mondo.

Perchè Van Gogh parla a tutti?

Perché sembra un artista senza filtri che ha dipinto in modo estremamente autentico la vita che lo circondava, trasformando il paesaggio in materia viva che racconta emozioni. Quando siamo di fronte a un tramonto su un campo di grano di Van Gogh, non vediamo solo la bella immagine di una luce romantica, ma l’incertezza, i sogni e i desideri di questo giovane ragazzo che in fondo non riusciva a trovare un posto giusto nel mondo.

Una sua recente pubblicazione parla del “Mistero Van Gogh”. Come affronta il tema?

Il mio lavoro cerca di dimostrare che Van Gogh non era un folle, era sicuramente un uomo che ha sofferto molto ma non ha mai dipinto nei momenti di crisi psicotica che ha vissuto soprattutto negli ultimi anni di vita. Quando Van Gogh stava male, non riusciva nemmeno a tenere il pennello in mano, nei rari momenti di lucidità e negli ultimi mesi della sua vita, ha prodotto i suoi grandi capolavori come La Notte Stellata. Il motivo che mi ha spinto a raccontarlo di nuovo, leggendo e raccontando tutte le sue bellissime lettere scritte al fratello Theo, è il fatto che di lui si continua ad avere un’immagine che forse non è reale, perché Van Gogh non è l’artista della follia, ma è un artista che si è sempre concentrato a dire qualcosa di nuovo.

Il mistero consiste nell’essere stato raccontato come un folle?

Il mistero consiste nella domanda “perché Van Gogh nella sua vita ha venduto soltanto un quadro e oggi è uno degli artisti più quotati e più desiderati del mondo e cosa mancava a lui e alla sua epoca per capire la sua pittura?”

Si è dato una risposta?

La risposta è all’interno della sua famiglia.

Quando rinasce Van Gogh e comincia l’ascesa verso quel fenomeno che rappresenta oggi la Van Gogh mania?

C’è un anno preciso in cui la fama di Van Gogh comincia a nascere ed è il 1925, quando vengono pubblicate le lettere scritte al fratello Theo. A pubblicarle è Joanna, moglie di Theo e cognata di Van Gogh che capisce come per far apprezzare l’arte intensa e dura di Van Gogh, bisognava scavare nella sua anima. Le lettere lo hanno permesso e proprio da lì è partito un percorso che ha portato all’apertura del Museo Van Gogh in Olanda nel 1960 e non si è più fermato.

Fino ad arrivare alla Van Gogh mania, Van Gogh è dappertutto e vive insieme a noi

Quanti di noi possono possedere un quadro di Van Gogh dal vero? Naturalmente pochissimi, eppure piace a tutti. E’ per questo che molti artisti, molti giovani, molti illustratori, molti animatori e video maker, hanno cominciato a lavorare sui grandi capolavori di Van Gogh, trasformandoli in opere contemporanee e producendo una sorta di Van Gogh mania. Se si va sui social, si scopre che Van Gogh è uno degli artisti più presenti nei messaggi, video e prodotti internet in tutto il mondo.

Qual è la sua opera preferita tra le cinquanta in mostra a Palazzo Bonaparte?

Forse l’opera che conclude la mostra, un anziano signore seduto su una sedia di paglia con il volto tra le mani. È l’immagine della disperazione ma è anche lo sguardo dell’artista verso chi è in difficoltà. Non credo sia un autoritratto di Van Gogh ma è la dimostrazione che nonostante avesse angosce personali, Van Gogh è sempre stato un uomo generosissimo.

Francesca Villanti

Portare Van Gogh a Roma cosa ha significato?

È stato un lavoro bellissimo e faticoso, durato anni, che ha però portato a un risultato splendido.

Questa mostra cosa rappresenta per la scena culturale romana?

Poter vedere tante opere di Van Gogh tutte insieme è un’opportunità incredibile e un’occasione unica, con un percorso netto che consente a chiunque di capire questo artista.

È un’occasione per percorrere tutto l’iter artistico di Van Gogh attraverso le cinquanta opere esposte.

Come si può raccontare la mostra a chi è distante?

C’è un modo per raccontarla anche a distanza, perché c’è una modalità visiva, attraverso le sue opere e una modalità che passa attraverso le sue parole, perché Van Gogh scrive, scrive per tutta la vita e racconta l’artista che sta diventando, racconta l’uomo che è. Il Van Gogh Museum ha fatto un lavoro strepitoso, insieme a tutti i musei olandesi, perché ha raccolto tutte le lettere di Van Gogh, le ha caricate online sul sito vangoghletters.com che consente di approfondire l’artista, leggendolo, studiandolo, quindi anche da lontano, in attesa di venire a Roma a visitare la mostra, si può iniziare a capire Van Gogh.

La mostra cosa racconta dei trentasette anni di genialità e follia?

Racconta tutti e trentasette gli anni, dà l’opportunità di capire l’artista a partire dalle prime opere del 1881 con il disegno del Seminatore che apre la mostra, allo stesso Seminatore, lo stesso soggetto che lo accompagna per tutta la vita che chiude la mostra e che Van Gogh cerca di raccontare come lo sente. E’ un’occasione per percorrere tutto l’iter artistico di Van Gogh attraverso le cinquanta opere esposte.

La mostra si chiude con una installazione ispirata al capolavoro de La Notte Stellata. Come è stata concepita?

L’installazione è un modo per capire Van Gogh. Van Gogh si sente, entra nell’anima, dopo può essere approfondito e studiato, ma l’impatto immediato è sensoriale. L’installazione, realizzata con strumenti moderni, è un modo per far rivivere quell’emozione.

La modernità di Van Gogh in cosa consiste?

La modernità di Van Gogh consiste nell’essere sempre l’artista più amato. La sezione che chiude la mostra è dedicata alla Van Gogh mania che racconta proprio la sua capacità di essere sempre all’avanguardia.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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