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Facciamo finta che… tutto va ben

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Che fosse un Natale diverso, era nella consapevolezza e nelle aspettative di tutti. Che molti lo continuassero a dire e a scrivere, anche in maniera stereotipata, lo si poteva prevedere. Che ci fosse qualcuno pronto a proporre idee nuove per rimodulare la fruizione e il godimento di riti collettivi e consuetudini della tradizione popolare di Roma e dei romani, era da augurarselo. Roma Capitale ha scelto questa soluzione, accogliendo un’idea originale di Maurizio Costanzo che si è fatta incontro virtuoso con la musica dell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica, diretta dal Maestro Ambrogio Sparagna e ha risposto all’esigenza, che si fa ora urgenza, di ascoltare la musica dal vivo, favorendone la partecipazione in un canto corale e collettivo che esprime anch’esso lo spirito del Natale. Nell’alternarsi tra il lockdown parziale e totale del periodo natalizio, con i teatri e le sale concerto chiuse, la musica popolare, la sua storia, la sua tradizione, i cantori e i musicisti con zampogne, ciaramelle, organetti, mandolini e  altri strumenti del folklore italiano, sono saliti  su un open bus a due piani trasformato in  palco itinerante e hanno attraversato la città, dal centro alle periferie,  portando aria di festa  nelle vie di quartieri che si sono riconosciuti in quella musica. Ambrogio Sparagna, sostenuto dalla Fondazione Musica per Roma, ha suonato e cantato con alcuni componenti dell’Orchestra Popolare Italiana, brani di tre artisti che appartengono alla tradizione della canzone romana, Gabriella Ferri, Franco Califano e Rino Gaetano. “Roma nuda”, “La nevicata del ‘56”, “Semo gente de borgata,“Pe lungotevere”, “Dove sta Zazzà”, “Berta filava”, “Il cielo è sempre più blu”, sono state accompagnate da omaggi a Trilussa e a Gigi Proietti, da canti della tradizione natalizia e da  serenate, stornelli e saltarelli, sulle note e sull’esempio dei suonatori ambulanti del ‘700,  chiamati Madonnari perché giravano, nei giorni di Natale, sui loro carretti, attraversando i borghi di Roma e si fermavano a suonare sotto le Madonne.

 “Facciamo finta che… tutto va ben”, è un’iniziativa pensata con l’intento di restituire un’aria di festa a un tempo che per molte ragioni festoso non è, riproponendo la storia e la tradizione musicale in cui la città e i suoi abitanti si riconoscono e si rallegrano. L’idea è di Maurizio Costanzo, il romano doc che conosce perfettamente Roma, le sue voci e i suoi quartieri, la propensione al riscatto e la voglia di farcela di una città che sa però anche essere pigra e indolente e a cui è necessario dare una scossa.

Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano il giornalista, conduttore radiofonico e televisivo, il fine narratore che va oltre la capacità di racconto che gli scorre nelle vene, formula proposte e concretizza progetti affinché in questo tempo Roma, prima di essere raccontata, sia aiutata a vivere.

“Facciamo finta che tutto va ben”, canzone scritta nel 1975, a quale esigenza rispondeva e a chi dava voce?

Rispondeva all’esigenza di sempre, cioè di far finta che tutto va bene. La cantava Ombretta Colli ed era la sigla di un programma di Raiuno, del sabato sera, con protagonista Paolo Villaggio.

I versi ancora attuali, significano che dal 1975 abbiamo sempre continuato a far finta che tutto andasse bene o abbiamo ripreso oggi a far finta “che il povero sia in fondo un gran signore, che le persone anziane stian benone e che i giovani abbian sempre un’occasione”?

Sì, esattamente così: abbiamo continuato a far finta che il povero sia in fondo un gran signore ecc. ecc. Ci tengo a dire che la musica di questa canzone, che ha avuto successo anche in Spagna, è di Franco Pisano, le parole sono di Umberto Simonetta e del sottoscritto.

Le immagini di Roma sotto attacco Covid hanno fatto il giro del mondo. Perché tutto quello che accade a Roma è sempre molto amplificato?

Perché è Roma, esiste da secoli e non è un caso che milioni di persone vengano ogni anno a vedere il Colosseo.

La romanità racconta la coriacea capacità di resistenza della città e dei suoi cittadini. La musica e la canzone romana come l’hanno raccontata?

L’hanno raccontata in maniera egregia, partendo da Alfredo del Pelo che scrisse e cantò “Casetta de’ Trastevere”.

Le canzoni e la musica di Gabriella Ferri, Rino Gaetano e Franco Califano, raccontano Roma nella diversità delle sue voci e delle sue anime. Quali sono le differenze e quale il momento di sintesi?

Il momento di sintesi è nella malinconia che c’è nelle canzoni della Ferri, di Gaetano e di Califano. Non sono anime diverse, ma la stessa anima, forte ma malinconica.

L’iniziativa di portare la musica della tradizione popolare romana nelle strade, dal centro alla periferia, facendo finta che tutto vada ben, da cosa nasce?

Nasce dalla voglia di portare qualcosa nei quartieri, non dimenticando che un quartiere di Roma è grande come una piccola città.

Roma oggi è una città sufficientemente pop per accogliere una iniziativa che è popolare nello spirito e nelle intenzioni?

Roma è da sempre, dai tempi degli antichi romani, una città pop.

I quartieri di Roma appaiono oggi sufficientemente contaminati o rimangono in piedi stereotipati steccati socio-culturali? Se ai Parioli scende in strada Claudio Baglioni e canta, l’accoglienza è la stessa che viene riservata alle canzoni di Gabriella Ferri e Califano? 

Non credo, ma la gente che vive ai Parioli, in genere, non sta ai Parioli, perché lavora altrove. Chi vive a San Basilio, sta sempre a San Basilio.

Qual è a suo avviso l’espressione artistica nella quale Roma si ricompatta ed è una sola, grande e meravigliosa Roma?

Per me è la canzone di Garinei e Giovannini “Roma nun fa’ la stupida stasera”.

Le canzoni sono necessarie per allargare l’orizzonte dell’anima e predisporsi a cose belle. Qual è la canzone della tradizione musicale romana che Maurizio Costanzo desidera dedicare oggi a tutti gli Italiani, ovunque essi vivano?

Regalerei proprio come ho già detto “Roma nun fa’ la stupida stasera” e, ripeto, “Casetta de’ Trastevere” che dice: “Fa’ piano, murato’, co’ quer piccone…”

Ambrogio Sparagna e l’Orchestra Popolare Italiana

M° Sparagna, ci presenta l’Orchestra Popolare Italiana?

L’OPI è un progetto nato 14 anni fa, all’interno della programmazione dell’Auditorium Parco della Musica, realizzato dalla Fondazione Musica per Roma con l’intento di accogliere e proporre le molte esperienze, collegate alla riscoperta della musica popolare, che arrivano da tutti i territori italiani. La musica popolare o di tradizione orale, è una musica antica, ricca di tante varietà di forme dialettali, ancora viva nel nostro Paese, anche perché suscita l’interesse di tanti giovani musicisti che trovano, al Parco della Musica di Roma, un’accoglienza importante, come testimonia il numero degli spettatori paganti che hanno sostenuto e apprezzato i progetti presentati in questi anni.

L’OPI crea ponti musicali e culturali con altre culture o è un fenomeno solo italiano?

Attraverso il canto popolare e la musica tradizionale italiana, riusciamo a creare ponti con altre culture a noi legate, a partire da quelle più vicine dell’area mediterranea alle più grandi tradizioni musicali del mondo. Accogliere altre culture per essere parte di un progetto di integrazione mondiale è uno dei grandi meriti della musica e dell’arte in genere.

La sua attività di storico e ricercatore di musica popolare, concertista e direttore dell’OPI tende alla valorizzazione del folklore musicale italiano, che rappresenta cosa esattamente?

Il folklore è l’anima di un popolo. Il canto popolare esprime in modo profondo il legame che ciascuno ha con la propria terra, il sentimento di appartenenza che si manifesta anche nell’utilizzo di un dialetto o nel suono di uno strumento particolare. Il folklore, e la sua forza, lo si vive con particolare intensità quando si suona nelle comunità italiane all’estero, come facciamo spesso, dove il canto e la musica popolare italiana vengono vissuti in maniera quasi spirituale, mettendo a nudo i propri sentimenti e il senso di appartenenza e vicinanza alla propria terra di origine. Nel nostro repertorio abbiamo recuperato e inserito tanti canti dell’emigrazione che raccontano la storia del nostro Paese.

Quali strumenti musicali utilizza l’Orchestra Popolare Italiana?

L’OPI è nata con l’idea di recuperare e utilizzare gli strumenti tipici della tradizione musicale popolare italiana e la composizione dell’ Orchestra rappresenta le tipologie differenti di ogni regione italiana. Ci sono gli strumenti della tradizione musicale del Nord Italia come cornamuse, strumenti a corde e a fiato, ma anche strumenti tipici del centro Italia come percussioni, zampogne, organetti, i vari tipi di chitarre, mandole, mandolini, con grande attenzione per gli strumenti e il repertorio delle aree geografiche speciali come la Sardegna. Molte comunità italiane utilizzano lingue e dialetti che provengono dalla tradizione greca, croata, albanese e l’OPI ha dedicato a queste minoranze etnico-linguistiche grande considerazione. In questo lavoro di ricerca abbiamo riscoperto strumenti antichi, come la sordellina, un tipo particolare di zampogna che si diffuse intorno al ‘600, una zampogna corta che fu costruita per imitare il suono dei pastori e che nel 2019 abbiamo ricostruito e riproposto nell’ultimo concerto de “La Chiarastella”.

A Natale l’OPI è impegnata nel progetto “La Chiarastella”. Cosa propone?

La Chiarastella è un progetto dedicato al repertorio dei canti natalizi, recuperando una tradizione antichissima nata con la Lauda di San Francesco e le forme di rappresentazione sacra legate al Presepe. Ogni regione ha canti natalizi propri che noi abbiamo raccolto, con un lavoro di ricerca storica importante e che proponiamo. L’Orchestra si compone di 30 musicisti, un coro che comprende 100 voci e un corpo di ballo.  Oltre ai musicisti e ai cantori, ci sono i danzatori che fanno lo stesso lavoro di  ricerca e ricostruzione storica applicato alla danza.

“Facciamo finta che…tutto va ben”, che esperienza è stata?

Andare in giro per Roma su un open bus a due piani, suonando e portando nelle strade il canto e la musica popolare dal vivo, una musica che è al contempo locale e globale, è stato per noi entusiasmante. Abbiamo portato la musica dal vivo dove mancava da tempo, trasformando l’open bus nella versione moderna del carretto dei suonatori ambulanti della tradizione musicale romana, i famosi Madonnari che dal ‘700 suonavano la musica del loro tempo collegata ai canti di Natale e che affascinarono, nei primi decenni dell’800 il grande musicista Hector Berlioz che nel suo soggiorno romano, fu conquistato dalle zampogne. Abbiamo simbolicamente unito le canzoni di autori romani con la grande tradizione del canto popolare.

L’emozione più bella di questo viaggio da Madonnari 2.0 suonando musica locale e globale?

Quando abbiamo attraversato Piazza dei Mirti, il cuore del quartiere popolare Centocelle, che per la sua composizione multietnica è completamente dentro la nostra storia, le persone, in strada e alle finestre, hanno cominciato a cantare e a ballare con noi, nonostante avessero la mascherina. Un’emozione indimenticabile!

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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