Roma è città d’arte e storia ma è anche il centro della spiritualità mondiale. Un evento planetario come il Giubileo della Speranza è vissuto nella città eterna come evento diffuso non solo in ambito religioso. Roma offre un percorso giubilare nei musei civici, inaugurato dalla mostra Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino ai Musei Capitolini, che si arricchisce di una nuova esposizione allestita al Museo Carlo Bilotti. Tra Mito e Sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea indaga il rapporto dell’arte contemporanea con la spiritualità. La mostra è interamente realizzata dal gruppo curatoriale della Sovrintendenza Capitolina ed espone opere custodite nei depositi dei musei.
La sede espositiva, il Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese, uno scrigno di arte che ha in collezione permanente opere di Giorgio De Chirico, accoglie trenta opere eterogenee connesse al rapporto degli artisti con la spiritualità. Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero incontra gli storici dell’arte della Sovrintendenza Capitolina che hanno curato la mostra e il catalogo.
Ileana Pansino
Storica dell’arte e curatrice della Sovrintendenza Capitolina
Qual è l’idea su cui ragiona la mostra?
Arriva sempre il momento in cui le collezioni conservate all’interno dei depositi, chiedono di uscire. Per organizzare mostre come questa, si cammina fisicamente e virtualmente tra le opere, cercando storie da raccontare. La mostra, concepita e realizzata dalla nostra Sovrintendenza Capitolina, ha considerato parte delle tante opere che sono in relazione alla spiritualità. Se un artista viene a passare un periodo della sua vita a Roma, è molto semplice che realizzi un’opera che riflette sul tema della spiritualità.
Il Mito e il Sacro perché?
Siamo nell’Anno Giubilare, l’idea di realizzare una mostra che parlasse del rapporto tra mito e sacro è sorta quasi spontaneamente. La sede del Museo Carlo Bilotti è apparsa la più naturale per ospitare opere che dialogassero con la collezione di Giorgio De Chirico esposte al museo.
Su cosa sono in dialogo?
Giorgio De Chirico è tra i più noti pittori italiani contemporanei. De Chirico è un artista italiano, con padre italiano ma è nato in Grecia. È profondo conoscitore dell’arte classica e della mitologia greca. Nella crescita personale e artistica di Giorgio De Chirico, il mito si è ricollegato alla sua storia, al suo inconscio, alla sua realtà e alla sua ricerca filosofica. Per Giorgio De Chirico il mito è l’essenza della sua arte. Lo è all’interno ma anche all’esterno perchè tanti elementi mitologici sono facilmente riconoscibili. Orfeo, gli Archeologi, Oreste e Pilade…Il mito è Giorgio De Chirico. Il tema è strettamente collegato a questo straordinario artista.
La cronologia della narrazione con quale opera inizia?
In mostra c’è un’opera di Wildt che è degli inizi del Novecento. Maschera del dolore è un autoritratto del 1909.

L’ultima?
L’ultima è un’opera del 2021. La narrazione copre un arco di tempo che va da inizio Novecento a oggi.
Claudio Crescentini
Storico dell’arte e curatore della mostra
Valorizzazione e sacralità possono essere considerate linee guida della mostra?
Si, la valorizzazione perché quasi il 90% delle opere esposte sono la parte della collezione contemporanea della Sovrintendenza Capitolina, custodita nei depositi del Macro. La collezione viene molto chiesta in prestito per opere in esterno, ma è poco utilizzata all’interno. Allestire una mostra con queste opere è certamente un modo per valorizzare opere che sono state donate all’amministrazione capitolina o da questa acquistate.
In mostra ci sono anche opere provenienti da altri musei?
La mostra è allestita anche con opere che provengono dalla Galleria d’Arte Moderna e dal Museo di Roma.
Come nasce la mostra?
La mostra nasce dall’idea di collegare sacro e sacralità con spiritualità e mito. E’ un’idea molto diffusa tra gli artisti contemporanei, tanto è vero che la mostra darebbe potuto essere molto più grande di quella che abbiamo allestito. Il concetto è quello di capire come l’artista cerca di approcciarsi al tema religioso con l’arte contemporanea, nella difficoltà di non avere più la preparazione e le basi che avevano gli artisti del passato.
Come ci riescono?
Molti artisti risolvono spesso questa difficoltà, valorizzando la spiritualità. Il sacro, il mito e la spiritualità sono temi molto sentiti dagli artisti contemporanei.
La sacralità vista dagli artisti contemporanei avrebbe potuto essere il sottotitolo della mostra?
Perfetto, è un sottotitolo che esprime l’idea da cui è nata la mostra.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo?
Si, è un catalogo edito da Gangemi Editore. Abbiamo tenuto a fotografare le installazioni come sono state realizzate al Museo Bilotti. Molte opere sono installative e spesso cambiano, anche se di poco, l’idea principale dell’artista. Il catalogo ripropone queste installazioni e grazie alla pubblicazione, la mostra continua oltre il termine dell’esposizione.
Antonia Rita Arconti
Storica dell’arte e curatrice Sovrintendenza Capitolina
Le opere custodite dai depositi come entrano nei progetti della Sovrintendenza Capitolina?
La Sovrintendenza Capitolina ha un gruppo curatoriale, di cui noi facciamo parte, che si occupa di contemporaneo. Siamo arrivati al sesto progetto espositivo realizzato con le opere custodite nei depositi.
Qual è il periodo di riferimento?
Il secondo Novecento ma c’è anche qualche inserimento di opere del primo Novecento, proveniente dalla Galleria d’Arte Moderna che fa sempre capo alla Sovrintendenza Capitolina.
Ogni mostra è un’occasione di riscoperta?
È proprio così. Ogni progetto espositivo è l’occasione per riscoprire dialoghi tra le opere. Si scelgono temi e si scelgono opere che avviano dialoghi inaspettati. Se abbiamo un’idea, nel momento in cui cominciamo la progettazione per l’allestimento, scopriamo connessioni che si rivelano sorprese. Possono essere connessioni di tipo materico, qui abbiamo visto il dialogo tra la creta di Leoncillo e la materia della cera di Roma di Piangiamore. Abbiamo scoperto connessioni astratte tra opere come l’Angelo di Cagli e la vicinanza di segni creati sul cartone da Fiorella Rizzo. Si scoprono connessioni anche tra opere molto diverse tra loro. Ci sono rappresentazioni di luoghi di culto come il Tempio, con opere di Di Stasio e Piangiamore che dialogano con la grande installazione Cattedrale di Alessandra Tesi che torna visitabile dopo dieci anni.

Che cosa racconta Cattedrale?
Più che raccontare, vuole far rivivere la suggestione dell’ingresso in un tempio. È una suggestione multisensoriale tra audio, impressioni di luci, forme che si muovono. Sono dialoghi fondamentali ed esprimono il bello del rianimare i depositi.
L’arte contemporanea come si racconta?
L’arte contemporanea è molto complessa. Ha opere di grandi formati, installazioni, è impossibile allestire collezioni permanenti di mille e più opere in un solo spazio. Pertanto si creano percorsi tematici e si richiamano di volta in volta le opere che rientrano in questi percorsi.
E cosa accade?
Si ricrea una magia.
Tra Mito e Sacro ha sezioni fluide, il visitatore può cominciare a guardare la mostra dove vuole. È un effetto cercato?
Ci sono dei fili conduttori, come il Tempio succitato, ma una stessa opera può anche dialogare con altre opere, su altri temi. Di Stasio con un cantiere a forma di tempio, dove c’è un angelo in abito blu che si presenta agli operai di un cantiere, è per noi la sezione del Tempio che dialoga con Cattedrale, ma è anche in dialogo con le figure mistiche e gli angeli di Cagli. C’è poi il tema del dolore e della morte che appare in tutte le opere, è un filo conduttore che dal mito antico delle opere di Paola Gandolfi, con il ciclo delle Orestiadi di estremo dolore e dramma umano, arriva fino al nostro contemporaneo.