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RAI. 70 anni di televisione italiana

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Domenica 3 gennaio 1954, ore 11, Milano, via Alberto Ripa Villasanta, zona Corso Sempione. Vito Molinari, un ragazzo di 23 anni, attraversa di corsa la strada che divide due palazzi della RAI, uno preso in affitto, l’altro sede principale di Corso Sempione ed entra nello Studio 3 per dirigere la trasmissione inaugurale della televisione italiana. È un pioniere della Tv, ha esperienza radiofonica e teatrale e insieme ad altri dieci giovani ha il compito di inventare la televisione e di costruire un linguaggio e una grammatica televisiva che in Italia ancora non esisteva. Quel giovane regista non ne era consapevole ma stava scrivendo la prima pagina di un racconto televisivo tuttora ininterrotto, l’Italia raccontata agli Italiani. Nello spazio di un’ora, dalle 11 alle 12 di una domenica italiana, in un Paese che è uscito da poco dalla guerra e cerca di recuperare vecchi riti e di inventarne nuovi, la RAI si presentava al pubblico, alfabetizzandolo tecnicamente sulle modalità di trasmissione delle immagini, per spiegare con razionalità ciò che appariva una magia. Com’è possibile che una cosa succede qui, ora e la vedono anche da un’altra parte? Cosa nasconde quella scatola magica che si chiama televisore? Televisore e televisione sono la stessa cosa? Interrogativi posti da quella che Sergio Pugliese, uomo chiave nella nascita della RAI, definiva una finestra sul mondo offerta agli Italiani. La RAI festeggia in questi giorni i primi 70 anni e Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all’estero, che ha lanciato l’hashtag #biorai per ripercorrere la biografia della prima industria culturale italiana, incontra Vito Molinari che da quel 3 gennaio 1954, di programmi televisivi ne ha scritti e diretti oltre duemila, autore di oltre 500 Caroselli, regista della prima trasmissione della RAI e anche del primo Sanremo trasmesso in diretta televisiva.

Cosa successe quel 3 gennaio 1954 che ha cambiato la storia sociale dell’Italia?

Ho curato la regia della prima trasmissione televisiva italiana. Avevo 23 anni e facevo parte di un piccolo gruppo di una decina di giovani, chiamati da Sergio Pugliese della EIAR, incaricato di inventare la televisione italiana. Ognuno di noi aveva un po’ di esperienza di prosa ma nessuno ci ha insegnato a fare la televisione, ci siamo dovuti inventare un linguaggio che non aveva grammatica né regole di sintassi.

Come avete fatto?

Giorno per giorno, facendo i programmi, sbagliando e imparando. Dal settembre al dicembre 1953 abbiamo fatto un periodo sperimentale e a gennaio 1954 siamo partiti.

La RAI trasmetteva da Milano?

Si, trasmetteva da Milano ma la curiosità di quella prima trasmissione è che era divisa in tre parti. La prima partiva da uno studio che era stato allestito dalla RAI in un palazzotto  di fronte al palazzo della RAI in Corso Sempione. La RAI lo aveva preso in affitto da una ditta che produceva cravatte e aveva allestito uno studio televisivo di medie dimensioni. Da quella postazione è partita la prima parte della trasmissione che inquadrava le telecamere e spiegava come si riprendeva un dialogo e come le immagini venissero poi decodificate e inviate ai ponti radio. La seconda parte era un pezzo di filmato già girato che avevo fatto fare per spiegare il funzionamento dei ponti radio, come ogni immagine raggiungeva le altre città attraverso i ponti radio, veniva codificata di nuovo e arrivava nei televisori. Mentre si trasmetteva questo filmato, io attraversavo di corsa via Ripa di Villasanta, la stradina davanti al palazzo della RAI, entravo, spintonavo di corsa alcune autorità invitate per l’occasione e raggiungevo la regia del nuovo, grande Studio 3 che veniva inaugurato in quell’occasione.

Una cerimonia solenne?

Si, vennero fatte entrare le autorità, discorsi, benedizione e a mezzogiorno era tutto finito.

In quel giorno nasceva la televisione ma anche il pubblico che andava alfabetizzato su quello che gli si stava proponendo?

Si facevano vedere le telecamere, si spiegò cosa succedeva ma tutto in modo molto semplice.

Com’erano le telecamere?

Erano enormi, pesantissime, erano necessarie più persone per muoverne una, anche noi non eravamo in grado di capire come erano costruite. Al mio arrivo in RAI, tentarono di organizzare un corso tecnico tenuto da ingegneri, per spiegare a noi giovani registi cosa ci fosse dentro a quei tanti fili, di vari colori ma l’esperimento durò poco anche perché io mi ribellai.

Perché i primi cameramen avevano i camici bianchi?

Per ragioni di pulizia e per motivi estetici, era una sorta di piccola divisa. Avevano camici bianchi i cameramen, il direttore e l’assistente dello studio, i tecnici che erano con me in regia erano invece vestiti normalmente.

Il 3 gennaio 1954, quando uscì di casa per recarsi negli studi della RAI, era consapevole che stava per cominciare qualcosa di straordinario che avrebbe influito tanto profondamente nella società italiana?

Assolutamente no, non eravamo per niente convinti di passare alla storia, ci bastava passare alla cassa. Nessuno allora ha capito che la nascente televisione sarebbe diventata tanto importante. È necessario considerare che nel 1954 erano passati pochi anni dalla fine della II Guerra Mondiale e l’Italia era ancora contadina, povera, la maggioranza degli Italiani era analfabeta e parlava solo il dialetto della propria regione. Sergio Pugliese, incaricato di inventare la televisione, non pensava di farsi aiutare da chi aveva esperienza radiofonica, convinto che i due linguaggi fossero diversi, la radio solo parole, la televisione solo immagini ma la storia ha dimostrato che non è così perché oggi quasi tutte le trasmissioni televisive sono trasmissioni radiofoniche riprese dalle telecamere. Si rivolse a chi lavorava nel cinema ma la produzione annuale di pellicole era elevata, circa 150/200 pellicole l’anno, pertanto non trovò registi disposti a investire il proprio lavoro per quella scatoletta che inviava immagini. Per questo fu chiamato il nostro gruppo di giovani e insieme abbiamo inventato la televisione. Sono stato fortunato perché mi sono trovato nel posto giusto, nel momento giusto.

Il televisore, una scatola magica che da quel giorno diventò il sogno degli Italiani

Sergio Pugliese diceva che la televisione era una finestra sul mondo. Immaginiamo il 1954, un paesino sull’Appennino abruzzese da cui non si è mai allontanato nessuno se non per fare il militare o emigrare in America. Improvvisamente nel bar del paese mettono una scatola, la televisione e la gente andava a vedere questa finestra sul mondo. La finestra si apre e arrivano le immagini di New York, una svolta epocale, una cosa impensabile.

Nel 1957 arriva la reclame e nasce il Carosello

Carosello ha cambiato l’Italia dal punto di vista strutturale, ha portato il boom economico, ha convinto le massaie che non solo potevano ma dovevano avere la lavatrice, magari pagandola a rate. Carosello ha rappresentato per vent’anni il sogno degli Italiani, trasformando completamente la parte economica dell’Italia.

“La mia RAI” è il titolo di uno dei suoi libri. Com’è la sua Rai?

La mia RAI è stata una specie di fucina in cui ho sperimentato tutti i generi, in particolare la rivista perché pensavo fosse il genere in cui si poteva inventare di più. Con Un, due, tre di Tognazzi e Vianello abbiamo inventato la rivista televisiva. Il mio rapporto con la RAI è stato importante perché mi ha permesso di inventare e sperimentare trasmissione che sono rimaste nel ricordo della gente, come L’amico del Giaguaro, le Operette. Sono stato il regista più censurato d’Italia, per cose incredibili, nel 1954 quando mi hanno tagliato un ballo considerato troppo sexy perché la soubrette ballava su un biliardo utilizzando una stecca. Nel 1962 mi hanno bloccato Canzonissima con Dario Fo alla sesta puntata, nel 1970 mi hanno bloccato per 7 anni Bau Bau, un programma con Paolo Poli, Lisistrata con Garinei e Giovannini aveva due balletti considerati troppo sexy e per questo sono stato allontanato da Rai1 e pensare che uno era interpretato da Bice Valori, un’ottima professionista ma non certo sexy. L’ingerenza della Chiesa era talmente forte che alcune parole erano totalmente bandite, seno, reggiseno, sudore, membro non si poteva utilizzareneanche per indicare un componente del Parlamento, non si poteva parlare della squadra di calcio del Benfica. Era una RAI che all’inizio è stata molto didascalica e parlava a un’Italia molto bigotta. Alle ballerine si facevano indossare doppie calze pesanti e si metteva uno spillone nel sottogamba in modo che se alzavano la gamba, non si potesse intravvedere nulla.

La RAI didascalica come e in cosa si è trasformata?

Si è poi completamente trasformata, noi inventavamo i format, ora si comprano all’estero. Nel 1980 è nata la televisione privata in Italia e la RAI ha avuto il demerito di andarle dietro per paura di perdere ascolto, abbassando il livello culturale dei programmi anziché continuare a fare ciò che avrebbe dovuto. Un secondo momento di cambiamento epocale si è registrato quando i presentatori sono diventati padri padrone e hanno inventato i contenitori, trasmissioni di più ore dove mettevano dentro di tutto. Ciò ha comportato uno snaturamento del ruolo degli autori che non scrivevano più nulla, non c’era bisogno di testi né di attori che li interpretassero e quindi nemmeno di veri registi. Le trasmissioni le facevano gli ospiti, ciascuno con il prodotto, disco, film o opera teatrale da presentare. Un altro momento topico che ha cambiato tutto è stato l’avvento di programmi in cui gli ascoltatori si sono affacciati in primo piano, diventando protagonisti importanti solo perché gli era stata data visibilità, a danno di chi stava facendo una seria gavetta da molti anni.

Oggi la RAI com’è?

È molto migliorata da un punto di vista tecnico, le telecamere sono piccole e si muovono facilmente, le prime scenografie erano in legno, difficile da cambiare tra una inquadratura e l’altra. Oggi invece la scenografia è fatta solo di luci e questo consente di cambiare sfondo in continuazione. L’esempio più eclatante è Ballando con le stelle, un programma realizzato con sei/ sette telecamere, realtà aumentata e altre tecnologie innovative.

Con quali mezzi ha curato la regia del primo Festival di Sanremo trasmesso in diretta televisiva nel 1955?

Nel primo Festival di Sanremo avevo tre camere, quando l’anno successivo ho chiesto e ottenuto la quarta, sembrava aver avuto in dono il Paradiso.  

C’è qualcosa che oggi consegna alla storia il suo ruolo in quella mitica prima trasmissione televisiva?

Lo scorso 6 novembre ho compiuto 94 anni e a Milano davanti al palazzotto in via Alberto Ripa di Villasanta 3 da cui tutto è partito, è stata inaugurata una targa che ricorda come il 3 gennaio 1954 da quel luogo siano partite le prime immagini delle trasmissioni televisive della RAI che io ho diretto.

Chi ha apposto la targa?

Il Museo Biblioteca della Torre di Genova a cui destinerò un lascito con tutto il mio materiale, cartaceo e video. La mia storia e la storia della RAI.

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Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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