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Gabriele Ciampi, musica e impegno civile

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Era il 1954 e un film, “Un americano a Roma” raccontava al mondo l’America come era immaginata e fittiziamente vissuta a Roma dal protagonista Nando Moriconi, l’indimenticabile Alberto Sordi e da una intera generazione invaghita del sogno americano. Era il luglio 1963 e Roma accoglieva con entusiasmo John Fitzgerald Kennedy, l’iconico Presidente degli Stati Uniti che con il suo amore per l’Italia, rendeva l’America ancor più attraente e fascinosa. Molti italiani si trasferiscono oltreoceano, alcuni emigrano definitivamente, altri solo temporaneamente. E’giugno 2020 e Gabriele Ciampi, compositore romano che ha scelto di vivere a Los Angeles per offrire nuove opportunità alla sua musica, riceve una lettera: “Caro Gabriele, nelle ultime settimane ho assistito a quel tipo di cambiamenti epocali così profondi come non ne ho mai visti nella mia vita…ciò richiede a noi tutti di lavorare insieme per immaginare politiche che riconoscano l’umanità e la dignità di ogni persona… Barack”. Il cognome da aggiungere alla firma è Obama. L’italiano Gabriele Ciampi, arrivato nel 2012 in America con una valigia piena di note, concretizza in pochi anni sogni e speranze perché compone musica che ha poi diretto alla Casa Bianca, entra, unico italiano, nella Giuria dei Grammy Awards, racconta l’angoscia universale della pandemia mettendo in musica i versi del poeta inglese Lord Byron e aggiunge alla sua vita, come partitura non secondaria, un impegno civile che sostiene attivamente negli USA e in Italia. Vive l’America pienamente e consapevolmente, cogliendone le opportunità e denunciandone le contraddizioni, custodisce con orgoglio la sua italianità e promuove lo stile musicale italiano che oltreoceano è molto apprezzato.  L’Obama Foundation gli chiede sostegno per il movimento dei Black Lives Matter, la fotografa Donna Ferrato lo coinvolge nel progetto di una colonna sonora da comporre per un fotolibro di denuncia sociale contro la violenza alle donne, “The Guardian” ne coglie la potenza e lo rilancia.

Fondazione Osservatorio Roma e America Oggi incontrano il M° Gabriele Ciampi per parlare di human rights, musica sperimentale, opera lirica, Grammy Awards e Festival di Sanremo.

M° Ciampi, come vive l’America di oggi, con le sue trasformazioni e contraddizioni?

L’America sta vivendo un momento particolare e unico che però non ha fermato questo grande Paese perché ogni volta che si verificano cambiamenti così importanti, c’è sempre un grande movimento che si avverte ovunque, nelle strade e nelle piazze. Tutto si vive con grande entusiasmo e forse eccessiva passione. Stavolta il limite è stato superato ma ora tutto tornerà alla normalità.

Lei è un italiano immerso consapevolmente e compiutamente in America. Alla sua valigia piena di note ha aggiunto anche un impegno civile che la accosta alla Obama Foundation e al movimento dei Black Lives Matter…

L’America è un Paese che accoglie e valorizza gli Italiani, perché ha offerto, offre e offrirà sempre grandi opportunità. Dopo il concerto che ho diretto alla Casa Bianca è rimasto un legame forte con la famiglia Obama che mi ha chiesto di aiutarli a sostenere il movimento Black Lives Matter anche in Italia. Ho accettato con piacere perché è un tema molto delicato che va oltre l’episodio triste della morte di Floyd a cui tutti siamo portati a pensare. In realtà questi atti di razzismo sono purtroppo quotidiani e avvengono tra l’indifferenza di molti. Per questo motivo sostengo la campagna di sensibilizzazione per i Black Lives Matter, negli Stati Uniti e in Italia e continuo a collaborare con la Obama Foundation anche per altri progetti a cui stiamo lavorando. La famiglia Obama è molto legata all’Italia, Michelle apprezza i valori della tradizione italiana rappresentati da arte, musica, sport, cucina.  Ritengo sia una considerazione importante perchè esprime un più generale apprezzamento dell’Italia e di noi Italiani da parte di Americani che sono già nella storia, come la famiglia Obama.

Un compositore come fa a tradurre il sostegno a un movimento civile in azioni concrete?

Attraverso la musica che è l’arte universale per eccellenza e che annulla qualsiasi barriera culturale e linguistica. La musica è una lingua universale che parla a tutti, aiuta a trasmettere e rafforzare un messaggio. L’occasione può essere anche un concerto, dove si può ricordare la battaglia per le tante vite afroamericane che si sono perse. Sottolineare un messaggio forte con una musica e quattro note di effetto, può far molto per sostenere un progetto sociale di ampio e necessario profilo come  quello dei Black Lives Matter.

La sua musica ha sottolineato momenti significativi dell’anno appena trascorso. Alla fine del primo lockdown le sue note hanno incontrato la poesia di Lord Byron e hanno raccontato il nuovo tempo. Cosa ha rappresentato il brano “She walks in beauty” e il   video di grande potenza emotiva che lo accompagnava?

“She walks in beauty” è nato in un momento particolare, alla fine del primo lockdown, quando si faceva davvero fatica a vedere la luce. Le parole di Lord Byron mi hanno impressionato per la sorprendente attualità di una poesia scritta nel 1814 e in cui il poeta intravede la luce, nel mezzo della notte, nella figura di una donna e già questa prima frase mi ha suscitato grande emozione e quasi l’urgenza di accompagnare le parole con una musica che sentivo già esistere.  Il brano, strutturalmente classico e semplice, pianoforte-voce-violoncello, è un dialogo perfetto tra strumento e voce che enfatizza le parole di Lord Byron e diventa un messaggio di speranza, perché incoraggia a trovare la luce anche in un momento molto buio. La voce soul è di Teura e il violoncello è suonato da Livia De Romanis. Il video che accompagna il brano racconta la tragedia che tutti ci siamo trovati a vivere, con le strade vuote, la disperazione dei medici, il corteo di camion militari carichi di bare e la preghiera, silenziosa e sofferente, di Papa Francesco in una Piazza San Pietro desolata.

Il brano “Infinito” ha recentemente fatto da colonna sonora all’ultimo fotolibro di Donna Ferrato, la fotografa americana impegnata nella battaglia contro la violenza alle donne. Un tema a cui lei dedica grande attenzione…

L’idea di comporre una colonna sonora per un libro fotografico, con una componente evocativa molto forte, affidata a immagini crude, ha rappresentato un esperimento che ho realizzato con la tecnica del contrasto, facendo corrispondere una melodia molto dolce a una foto molto cruda. Credo che il risultato ottenuto, frutto di un meticoloso lavoro di concentrazione su ogni singolo scatto, abbia rafforzato il messaggio e lo abbia reso più fruibile a tutti. L’interesse suscitato dalla prima colonna sonora composta per un libro, apre nuove frontiere per la musica che può essere colonna sonora non solo di film e documentari ma anche di libri.

Il progetto ha avuto vasta eco sulla stampa internazionale, anche per questa sorta di sublimazione che la sua musica fa del dolore?

La mia musica rafforza il messaggio sociale di rifiuto a ogni forma di violenza alle donne, un tema sul quale Donna Ferrato è impegnata da molti anni, ma può essere anche ascoltata senza immagini perché evoca emozioni e questo significa che l’obiettivo è centrato. Sono molto soddisfatto del risultato di un progetto, brano e libro, che sta bene insieme ma anche separatamente.

Opera, il suo quarto album, è un disco che lei definisce sperimentale. Perché?

Lo definisco sperimentale perché è l’unione di due mondi opposti, il mondo classico, rigido e accademico, e quello elettronico in cui c’è libertà di ricerca sonora. La sperimentazione ha messo insieme questi due mondi. E’ l’album della mia maturità compositiva, con brani che mettono insieme strumenti classici che iniziano a dialogare con i sintetizzatori e con l’elettronica, inserendo anche l’effettistica. E’ il momento in cui il classico si apre a un altro stile, con un risultato molto interessante.

Si può raccontare un disco?

“Opera” si racconta pensando a un’opera musicale, a come vedo io la musica che è realmente per tutti, senza divisioni di genere. Il concetto elitario di musica classica lo abbiamo creato noi perché la musica classica era la musica popolare, centinaia di anni fa. “Opera” è la musica a 360°, è l’opera musicale in cui tutti gli stili si fondono insieme nel momento in cui la si ascolta. Il messaggio più importante è quello della musica che abbatte le barriere stilistiche. La musica classica è la base per ogni cosa, su cui possiamo sperimentare e creare qualcosa di interessante.

Opera è un disco scritto per un’orchestra sinfonica tradizionale o per formazioni musicali più ibride?

E’un disco che porta necessariamente un cambiamento anche alle orchestre tradizionali sinfoniche perché ci saranno strumenti elettronici che faranno parte dell’orchestra stessa quando si tornerà a suonare live. E’ un nuovo tipo di scrittura di musica polifonica, per un nuovo tipo di orchestra sinfonica in cui entreranno a far parte il sintetizzatore, il basso, la chitarra elettrica. L’assetto dell’orchestra tradizionale lo abbiamo codificato noi e quindi può essere rivedibile, lasciando aperto il campo alla sperimentazione.

Il brano “It’s on me” racconta il suo impegno civile contro la violenza alle donne…

Ho cercato di dar voce, con questo brano, a chi ha subito un episodio di violenza, fisica, psicologica o sul lavoro, collaborando con due donne, la cantante Teura e Livia De Romanis al violoncello che hanno avuto piena libertà creativa. Il brano è la testimonianza che il dialogo uomo-donna genera bellezza dal punto di vista creativo e per me è molto significativo perché testimonia come la musica possa sostenere un messaggio sociale importante. E’ un messaggio importante per tutte le donne.

Come si conclude il suo viaggio nella sperimentazione musicale?

Con “Silenzio”, un’aria d’opera, che è il classico per eccellenza, con l’inserimento della musica elettronica all’interno di un tessuto classico e dove il mezzo soprano dell’Opera di Pechino Juje Jin canta solo note e non un testo. E’ un nuovo concetto di aria d’opera che introduce la voce come strumento di orchestra, dialogando con essa.

Maestro, lei è un estimatore del Festival di Sanremo. La canzone italiana oggi è esportabile?

In America arriva molto poco dall’Italia ed è un peccato perché noi abbiamo una melodia che pochi altri nel mondo sanno fare. Purtroppo si tenta di copiare altri modelli, soprattutto stili e sonorità americane, il rap, l’hip hop, italianizzandoli senza alcuna originalità. Abbiamo voci molto interessanti che però cantano canzoni con melodie e arrangiamenti poco originali e innovativi. Speriamo di vedere quest’anno un Festival di Sanremo diverso.

Il Festival di Sanremo oggi è rito, mito, industria o talent?

E’ un rito-mito che dal punto di vista musicale ci identifica. E’ bello che ci sia il rituale, ogni anno, ma dobbiamo tornare al Sanremo-mito, capace di esprimere canzoni che siano completamente italiane, ripartendo dalla grande melodia e orchestrazione. Dovremmo trarre esempio dai Grammy Awards che sono la massima espressione musicale e dove è tutto fatto in casa, basato solo sull’America. Se anche noi cominciamo a concentrarci solo sull’Italia, la canzone italiana potrà tornare a essere esportabile. Il festival di Sanremo è molto importante perché è l’unico riferimento della musica italiana all’estero.

Sanremo sta all’Italia come i Grammy Awards stanno agli Stati Uniti?

Sanremo rappresenta i Grammy Awards dell’Italia. Le due manifestazioni hanno la differenza sostanziale che a Sanremo sono in gara canzoni inedite e ai Grammy Awards brani già pubblicati e che hanno avuto successo. Inoltre i brani sono giudicati ai Grammy Awards da una giuria tecnica e al festival di Sanremo da una giuria più popolare. Oggi forse a Sanremo manca una giuria “effettivamente” tecnica che stia a monte di una manifestazione la cui macchina organizzativa è molto simile a quella dei Grammy Awards.

Maestro, lei è a Los Angeles. In questo tempo di pandemia il mondo è realmente molto vicino o le distanze restano distanze?

La pandemia inevitabilmente accentua quello che ci manca ma stimola anche la nostra creatività. Se ci concentriamo sulle nostre passioni, saremo sicuramente più creativi e potremo ricostruirci e ricostruire il nostro futuro.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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