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Monica Guerritore, il teatro racconta l’umanità

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La chiusura improvvisa e drammatica delle sale teatro, “sacra sede dell’umano sentire e luogo dove si allena il sentimento”, ha interrotto il racconto dell’essere umano, fatto da altri esseri umani. Questo è il teatro da sempre, il racconto di un uomo che diventa racconto dell’umanità. Un teatro chiuso non ha più voce e oggi la sua voce servirebbe per raccontare e metaforizzare il tempo buio che viviamo. Il teatro è favola ma anche parabola drammatica e solo chi lo conosce bene per averlo scelto come via, può aiutare a comprenderlo.

Monica Guerritore racconta il teatro come la  favola che l’ha portata, appena quindicenne, al Piccolo Teatro di Milano ad accompagnare un’amica al provino per il ruolo della figlia di Ljubov Andreevna ne “Il giardino dei ciliegi” di Cechov, messo in scena da Giorgio Strelher che invece scelse lei, dopo averla fotografata e cercata con un annuncio sul Corriere della Sera, non avendo alcun recapito. È l’inizio della favola del viaggio nel teatro che Monica Guerritore continua con entusiasmo e passione, tra regie e interpretazioni tutte alte, avvincenti e convincenti, con l’umiltà e il rispetto per quel racconto straordinario che è la vita, attraverso le parole dei poeti che sanno interpretarne pulsioni e sentimenti. E proprio ora che il teatro non ha voce, Monica Guerritore diventa la voce del teatro italiano e di tutte le professionalità che lo rappresentano, scrivendo appelli e lettere aperte,  sollevando temi e proponendo soluzioni, cercando un nuovo modo di guardare a un teatro che è sempre quello dalla notte dei tempi. “ Se tu mi chiedi cosa sta succedendo e io te lo racconto, quello è il teatro”. Osservatorio Roma e America oggi incontrano la signora del teatro italiano, Monica Guerritore.

Come si può raccontare il teatro?

Posso raccontare il teatro per come l’ho visto io la prima volta, al piccolo Teatro di Milano, tre mesi seduta in platea, al buio, di notte, vedevo il palcoscenico che si popolava di ombre, che erano gli attori. Strehler lavorava molto con il controluce, si vedevano le ombre muoversi e acquistare piano piano i movimenti dei loro personaggi. Valentina Cortese era piena di femminilità, di dolore, di nostalgia per il giardino che stava per essere venduto, il vecchio Firs era piegato. Ho capito cosa era la magia del teatro, dalle pagine di Cechov, dove emergeva un mondo che raccontava la nostalgia del tempo che non è più. Ljubov Andreevna tornava tradita dal suo amore, il giardino veniva venduto, nel 1905 iniziava la rivoluzione e il suo giardino diventava  un luogo destinato a villette, costruite da un commerciante. Era la narrazione di un mondo che moriva. Il teatro è un mondo fatto di ombre che racconta i sentimenti umani.

A quale esigenza dello spettatore risponde il teatro?

All’esigenza, che è sempre la stessa dalla notte dei tempi, di capire come siamo fatti, quali sono i problemi che ci agitano, quali le dinamiche tra bene e male, tra ciò che è giusto e ciò  che non lo è, tra la pulsione all’aggressività e l’amore per gli altri. Noi viviamo una continua dinamica tra ciò che è giusto fare, perché viviamo in società e quello che faremmo seguendo la pulsione animalesca dell’uomo. Dalla tragedia greca in poi, tutto questo è stato messo in scena, perché Platone diceva che tutto doveva essere raccontato dal vivo, con gli esseri umani e non per iscritto, perché l’essere umano non può essere raccontato per iscritto. Il teatro mette in scena queste dinamiche, all’interno di trame, la famiglia, il luogo di lavoro, la Casa Bianca come House of Cards, oppure il castello come Macbeth da cui House of Cards è stato preso. Il luogo dove queste pulsioni agiscono, è il teatro, cioè il racconto, la trama letteraria e scenografica. Dentro ci sono sempre le nostre pulsioni interiori che hanno bisogno di essere viste per poterle comprendere.

Fare teatro a quale esigenza dell’attore risponde?

Ogni attore ha una sua esigenza. Io nasco con il teatro civile, politico, quello che racconta al pubblico per vedere cosa accade. Stavo rappresentando Giovanna d’Arco in un bellissimo teatro ottocentesco di Città di Castello, in Umbria quando ho letto, al centro di un rosone “Videor ut video”, esser visti per vedere. Porto in scena i problemi femminili e mentre li mostro agli altri, li vedo anch’io, ma non devo necessariamente sanare me stessa, l’importante è che sia un’esperienza collettiva, dove tutti ci ritroviamo attorno a un problema che racconta le donne.

Sono oltre 40 i personaggi femminili che ha raccontato, da attrice e regista, entrando con straordinaria empatia nelle vite e nei corpi di donne con un vissuto intenso. Oggi come racconterebbe la donna e soprattutto, la donna oggi chi è, come sta e come viene trattata?

La storia sa a volte essere lenta nei cambiamenti. Sul fronte dell’atteggiamento maschile nei confronti del mondo femminile, dobbiamo recuperare duemila anni. Quando gli uomini cominceranno ad apprezzare pienamente l’intuizione, tipica della psiche femminile, quella  capace di proporre soluzioni e che Giulio Cesare definiva  la capacità di mettere insieme tutte le informazioni che si hanno nella vita e focalizzarle nella risoluzione di un problema, e quando i due mondi, maschile e femminile,  che sono in ognuno di noi, l’intuizione femminile e la razionalità maschile, la psiche femminile e la forza maschile, anziché scontrarsi, cominceranno a camminare insieme, allora il mondo femminile sarà finalmente capito e considerato capace di guidare una nazione. Oggi servono cuore e intelligenza, non forza e muscoli, perché non c’è più alcun leone da combattere con l’arco e con le frecce.

C’è uno spettatore per ogni tipo di teatro, civile, politico, di poesia o il teatro è in grado di parlare sempre a tutti e allo stesso modo?

Sempre e a tutti, allo stesso modo. L’arte parla al cuore delle persone.

Il teatro, “sacra sede dell’umano sentire” e “luogo dove si allena il sentimento”, in che modo può migliorare chi a esso si avvicina?

Con la solidarietà e il conforto che sa dare, dando forma alle paure e agli incubi di ognuno. Come le favole che si raccontano ai bambini, che sono sempre un po’ paurose, dove c’è sempre una strega e un lupo cattivo che aspetta nel bosco, ma servono per dare forma ai timori del bambino, per far sì che riconosca le sue paure, allo stesso modo il teatro dà forma alle nostre paure, alle immagini di terrore primordiale che ancora albergano dentro di noi. Al caos primordiale che è dentro di noi, si riesce a dare una forma, nel nostro mondo vigile, andando a teatro o guardando un’opera d’arte. Naturalmente quando dentro una rappresentazione teatrale, un film o un’opera figurativa, c’è senso, ci sono le domande importanti travestite da storie familiari. Per questo il teatro conforta, perché ti dice cosa ti turba.

Per assaporare in pieno una pièce teatrale, quanto è importante avvicinarsi conoscendola e quanto è invece tutto nelle capacità di comunicazione dell’interprete? Può l’attore, con la sola forza interpretativa, trascinarmi con sé nel mondo di Edipo Re se non conosco Sofocle?

In teoria non ci dovrebbe essere bisogno di conoscere l’autore, perché l’autore è la sua opera, come diceva Picasso “il mio me è nelle mie opere”. Edipo Re uccide il padre e si sposa con la madre ed è assolutamente inconsapevole di quello che sta accadendo. Il destino lo mette davanti a un incredibile dramma, nell’inconsapevolezza di chi si è, in un fatto familiare, dove c’è un padre, una madre, un omicidio, narrato come una favola, come quella di Macbeth che uccide il suo re perché vuole mettersi la corona. Ed è un fatto abbastanza comune, perché molti vorrebbero uccidere il capufficio e prenderne io posto,  e ciò deriva da un senso di inadeguatezza che molti sentono. Macbeth dice che “essere così è nulla se non lo si è con certezza”, strappa una corona che non è sua, non è legittimato ad avere quel posto e vive nella paura che gli venga strappata via. Una condizione comune a molte persone che Shakespeare rende universale attraverso un re e una favola. In scena tutto deve essere chiaro per poter attrarre il pubblico a seguire lo spettacolo e per trasmettere il messaggio che l’autore vuol far arrivare.

Il mondo del teatro vive un tempo di sofferenza e incertezza. Lei ha rivolto un appello al Presidente del Consiglio Conte a nome di tutte le categorie professionali legate al teatro, con proposte chiare e concrete. In cosa consiste?

L’appello è una lettera aperta al nostro Presidente del Consiglio, nella quale ho espresso il disagio e la paura del mondo del teatro, uno dei settori più colpito dalle conseguenze del lockdown. Nei corridoi dei teatri chiusi, con spettacoli improvvisamente interrotti, ci sono marionette addormentate che indossano i costumi di scena e che aspettano di sapere quando torneranno a vivere per raccontare come siamo e per dar voce al dolore che tutti stiamo provando e vedendo. Ho chiesto al Presidente Conte  di cominciare a pensare che noi possiamo continuare a lavorare anche fuori dal teatro che è il nostro luogo sacro dell’umano sentire, ma il nostro umano sentire puo’ anche essere portato in televisione e da lì arrivare a tutti gli spettatori. La funzione pubblica della televisione ha per statuto la possibilità di portare il teatro a tutta l’Italia. Ho chiesto pertanto che parte dei fondi che tornano alla televisione dal nostro canone, l’extragettito RAI, siano messi a disposizione di tutti gli operatori del mondo del teatro.  Vorrei che televisione, cinema e teatro fossero sempre più intimamente legati, come in America dove il  teatro muove anche il cinema e molte opere teatrali fanno da base a grandi serie che si stanno producendo, come il Macbeth per House of Cards,  perché gli autori americani amano le scritture teatrali. Il salto della storia che stiamo vivendo con il teatro chiuso, ci obbliga a inventare un’altra strada, tenendo la struttura drammaturgica del teatro, affidata alla grande potenza degli attori di teatro, ma facendo entrare anche il mondo cinematografico, con una commistione tra i due mezzi che può aprire un’altra via.

La platea televisiva, eterogenea e ampia, è pronta ad accogliere e apprezzare il teatro in televisione?

Antigone, Le stelle stanno a guardare, Shakespeare, Sei personaggi in cerca d’autoresono stati proposti con successo in televisione fino agli anni ’80, quando è iniziato un decadimento dell’offerta, per via della televisione commerciale, che ha spazzato  qualunque tipo di storia che non fosse estremamente semplificata.  Le grandi serie che hanno più successo su Netflix e Sky hanno trame molto complicate, tutte prese da testi teatrali. Il pubblico, per non annoiarsi, ha bisogno di strutture drammaturgiche complesse, che devono essere raccontate in maniera molto semplice. Anna Karenina o Madame Bovary hanno strutture letterarie semplicissime, una donna non vuol stare più sposata con un uomo perché si innamora di un giovane e quindi c’è il desiderio della donna di vivere libera ma è madre…i significati sono profondi. Non c’è differenza tra il pubblico che va al teatro e il pubblico televisivo. Lo spettacolo teatrale, ripreso con mezzi cinematografici e portato in televisione, consente di portare il teatro, che è il racconto di un uomo che diventa racconto dell’umanità, a tutti.

Il teatro come necessità, capace di parlare agli spettatori del contesto in cui viviamo attraverso il racconto degli esseri umani, quanto può aiutare a metabolizzare il tempo drammatico che stiamo vivendo?

Solo le parole dei poeti possono raccontare questo dolore, perché il poeta usa la metafora. Shakespeare scrive Amleto, che è la fine del tempo lineare che è la certezza, tra un’epidemia di peste e un’altra, e Shakespeare ha metaforizzato il senso di morte improvviso e violento perché la peste nera uccideva in poche ore, attraverso il racconto del principe che non ha certezze. Il poeta mette l’incredibile incertezza della vita che finisce all’improvviso per il virus della peste dentro una storia. Oggi saranno le parole dei grandi poeti a guardare dentro di noi, a dirci che  sanno quello che stiamo provando, la solitudine, il senso di vuoto, perché questo è già stato raccontato.

Il teatro può essere favola o parabola drammatica. Nel futuro prossimo, che ci auguriamo sia il più prossimo possibile, Monica Guerritore da quale tipo di rappresentazione ricomincerebbe?

La rilettura di Amleto oggi potrebbe dar conforto alle persone, perché mette in scena il senso di incertezza, precarietà e fragilità in cui noi ci siamo trovati nudi, dall’oggi al domani, in tutto il mondo.

E Giovanna D’Arco che impara a far la guerra in 8 giorni?

E’  forse Giovanna che mi ha spinto a partire lancia in resta con l’appello, a nome di tutte le categorie legate al mondo del teatro, affinchè ci mettano nelle condizioni di lavorare, facendo quello che sappiamo fare e rendere un servizio al Paese. Il Governo, attraverso il Ministro della Cultura Franceschini, sta dimostrando attenzione e sensibilità. Sto lavorando anche a un progetto da presentare al MIUR che prevede la possibilità di portare i ragazzi, da settembre in poi, la mattina nei teatri di tutta Italia, dove gli attori potrebbero essere di aiuto agli insegnanti per parlare di teatro, per leggere Dante, per far conoscere le tragedie greche. Noi attori ci siamo, chiamateci.

La favola del teatro alimenta i nostri sogni. Oggi il sogno di Monica Guerritore qual è?

 Vorrei che in tutto il mondo il teatro e il cinema, che sono i luoghi dell’umano sentire e del racconto, eco dei nostri sentimenti, non   si fermassero e non si arrendessero alla chiusura. Tutti gli artisti devono andare nel mondo e continuare a parlare.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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