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Tony May, la vita da film di un italiano a Central Park

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La storia di un uomo parte anche dal tempo e dal luogo in cui nasce. Il 1937 è un anno che ha di fronte a sé lo spettro della Seconda Guerra Mondiale, Torre Del Greco è un paese poco distante da Napoli, che offre solo un porto da cui partire e un corallo per lavorare. Un tempo e un luogo con possibilità poco incoraggianti per il primo degli otto figli di un capitano di Marina. Antonio Magliulo sceglie la via dell’America, arriva a New York e la conquista, con i sapori e gli odori della sua terra che non dimentica e rende regina nella cucina. Torre Del Greco e tutta la Campania arrivano in America sulle ali del gusto, dei prodotti tipici, della cucina italiana portata in tavola all’italiana, con gli spaghetti pomodoro e basilico, altro che nella versione meatballs della rivisitazione americana.

Antonio Magliulo americanizza solo il nome che diventa Tony May ma protegge da ogni contaminazione la mozzarella, il pomodoro, l’olio, battendosi per la genuinità dei prodotti italiani che diventano ricercati e preziosi, come il corallo della sua terra. La sua storia incrocia tante storie, molte le determina perché nei ristoranti che apre a New York entreranno personalità dell’arte, della cultura, star internazionali del cinema e della musica ma anche camerieri, cuochi, chef e maitre di sala che arrivano da Torre Del Greco e rendono la cucina italiana una grande e solida realtà. Tony May li accoglie, li forma, li fa lavorare e li avvia a discorsi imprenditoriali autonomi, come un buon pater familias, lui che di figlia ne ha solo una e amatissima, Marisa.  

Grazie al suo aiuto, migliaia di famiglie italiane si sono trasferite e hanno trovato lavoro a New York. La sua morte improvvisa lo consegna alla storia come un italiano che ha fatto grandi cose per l’Italia in America, ambasciatore del gusto e del cibo genuino, ma anche di arte, bellezza e musica. La storia di un uomo la racconta perfino il suo funerale, solenne, sontuoso, partecipato, vissuto in presenza e seguito a distanza, trasmesso in tutto il mondo sul canale Youtube della Cattedrale di Saint Patrick, a Manhattan. Perché Tony May era un italiano di Manhattan.

Un premio speciale alla memoria, il primo dopo la sua morte, il Learn Italy Business Care, consegnato alla Camera dei Deputati al genero Leonardo Metalli che lo conobbe quando come giornalista del TG1 realizzò un reportage sulla sua vita e su altri grandi italiani d’America, è l’occasione per raccontare la storia da film di un italiano a Central Park.

Chi è stato Tony May?

Anthony Magliulo è stato il primo in assoluto a raccontare la vera cucina italiana agli Americani, abituati alla cucina italoamericana.

Come era la cucina italoamericana?

Si basava su ricette povere, arrangiate con i pochi ingredienti che gli emigrati italiani riuscivano a trovare in America e che gli americani hanno apprezzato, credendo   fosse la vera cucina italiana. In realtà quello che mangiavano, dal meatballs al resto e che si vedeva in tutte le case degli italiani emigrati in America dai primi del ‘900, non aveva nulla a che fare con la vera cucina italiana.

Come è partita la sua storia?

Arriva a New York alla fine degli anni Cinquanta e parte dal primo gradino della ristorazione, trovando un posto al Rainbow Room, il leggendario ristorante collocato al 65esimo piano del Rockefeller Center, famoso in tutti gli Stati Uniti per essere il ristorante più alto di New York, dove si suonava la grande musica jazz. In pochi anni scalò tutte le posizioni, diventando maitre di sala e infine il proprietario del ristorante, e da proprietario ha saputo gestire, con grande professionalità e popolarità, quel luogo che era diventato un polo di attrazione nella New York elegante di quegli anni, dove si usciva a cena in abito da sera e smoking.

Da chi era frequentato il Rainbow Room?

Frank Sinatra mangiava lì ogni domenica, in settimana c’erano concerti ed esibizioni di Ella Fitzgerald e Duke Ellington, i grandi del jazz, nel periodo di massimo splendore di questo genere musicale. Tony May, benvoluto e amato da tutti, diventò uno dei personaggi più in vista della ristorazione italiana perché pian piano il finest food della cucina italiana veniva fuori attraverso gli ingredienti originali che faceva arrivare direttamente dall’Italia.

Ed è grazie a Tony May che la mozzarella di bufala è salita in aereo e ha attraversato l’oceano

Mozzarella, acciughe, carciofi erano trasportati in aereo a New York, adottando tutte le accortezze affinchè si mantenessero freschi e gustabili.

Nasce così il mitico San Domenico?

Il ristorante San Domenico nasce a Central Park South, al Columbus Circle, nello stesso edificio dove abitava Luciano Pavarotti, suo grande amico che era solito mangiare con i suoi ospiti nel ristorante o farsi portare nel suo appartamento le prelibatezze italiane di buona fattura, a cominciare dalla pasta, che sapeva poter trovare solo da Tony May. Il San Domenico è stato  anche grazie a Pavarotti un polo di attrazione per artisti e star internazionali.

La costruzione della ristorazione italiana è stato un impegno costante per Tony May?

Certamente, ha aperto Il Palio e un’altra ventina di ristoranti, facendo arrivare dall’Italia cuochi, camerieri, aiutandoli nella realizzazione dei loro progetti imprenditoriali personali.  In 55 anni di attività Tony May ha aiutato almeno un migliaio di persone a lavorare a New York. La sua attenzione è sempre stata rivolta alla genuinità dei prodotti che faceva arrivare da Torre Del Greco, una terra ricca di tante specialità, come i caratteristici pomodorini.  Tony insegnava il gusto dei prodotti italiani agli americani, organizzando corsi ai quali partecipavano gli chef delle grandi catene come il Four Seasons. La formazione è stato un altro grande punto di forza di Tony May.

La sua vita come incrocia quella di Tony May?

Ho conosciuto Tony mentre realizzavo una serie di reportage sui grandi italiani d’America, Anthony Scalia, giudice italoamericano, Lawrence Auriana, grande finanziere e uno dei pilastri della Columbus Foundation e Tony May insieme a Sirio Maccioni che portavano alto il nome della cucina italiana. Lo intervistai al San Domenico per raccontare la sua storia su Rai International e altri programmi della Rai e rimasi molto colpito dalla sua personalità. Lo incontrai dieci anni dopo a Capri dove era di casa e veniva accolto trionfalmente da tutti gli chef e i camerieri che lo amavano moltissimo. In quella occasione conobbi Marisa, la figlia che si occupava della comunicazione, ci siamo innamorati, sposati ma io mi sono innamorato anche della bellissima idea di famiglia, rispettosa dei valori e delle tradizioni, che Tony May sapeva esprimere.

Tony May ha fatto cose importanti per l’Italia in America che vanno oltre la cucina. È stato promotore di arte, musica, bellezza, contribuendo a presentare bene il nostro Paese

Tony è diventato una specie di trademark della original italian taste, dei contenuti italiani perché tutto quello che era italiano passava da lui. E’ stato presidente dell’Associazione Ristoratori Italiani negli Stati Uniti e ha avuto molti incarichi proprio per il suo impegno nella promozione della cultura italiana.

Lei ha capito qual è stato il suo segreto?

Forse quello di svelare i segreti di una cucina genuina fatta con ingredienti che non si trovavano a New York, anche  grazie a Mimmo Magliulo, fratello di Tony, ancora in piena attività al Chelsea Market dove ha messo su il punto di riferimento dei ristoratori per trovare prodotti italiani DOC e DOP.

Tony May è andato oltre lo spaghetto, traghettando l’Italia fuori dagli stereotipi con cui il mondo italiano è stato a lungo identificato…

Spaghetti, mandolino, mafia sono elementi folkloristici e d’effetto con cui gli italiani per molto tempo sono stati identificati con un racconto accattivante che il cinema ha alimentato. Tutto questo è stato superato dalla grande forza di personaggi che, come Tony, per tutta la vita non si sono mai arresi di fronte a queste etichette e hanno fatto di tutto per superarle. Per Oscar Farinetti Tony è stato il più forte di tutti,  quello che ha saputo resistere tanti anni, sempre in prima posizione, sostenendo una mole di lavoro notevole, per promuovere l’Italia, la sua cucina e la sua cultura in tutte le direzioni, partecipando a innumerevoli trasmissioni televisive per raggiungere una platea che fosse la più ampia possibile. A New York tutto questo non è semplice da realizzare.

Eataly e Oscar Farinetti sbarcano a New York con l’aiuto di Tony May

Quando Farinetti ha aperto Eataly al Madison Square Park a New York nel 2000, il più grande supermercato italiano e agglomerato di ristoranti, proprio di fronte al SD26, l’ultimo ristorante in ordine di tempo di Tony, ha chiesto a Tony di assaggiare ogni piatto, per essere consigliato su cosa fosse adatto al palato di una platea che solo lui conosceva così bene. Tony tolse un paio di piatti e ne corresse altri.

Quanta arte è passata nei ristoranti di Tony May, l’italiano che al posto della tovaglia a quadretti bianchi e rossi delle trattorie italiane, apparecchiava con tessuti raffinati e posate d’argento?

Tantissime opere d’arte che oggi compongono una straordinaria collezione. L’architetto che ha disegnato il ristorante SD 26 è lo stesso che ha disegnato la pianta della metropolitana di New York.Tony affidava a personalità simbolo di cultura, il compito di raccontare la cucina italiana anche attraverso l’allestimento di un ristorante.

L’impegno sociale di Tony May è stato fondamentale nei giorni drammatici successivi all’11 settembre

Tony aveva due ristoranti nelle Torri Gemelle, il Pasta Break e il Gemelli, entrambi al ground floor. Tony ha capito immediatamente che si trattava di un attentato e non di un incidente, ha messo in salvo tutti i suoi dipendenti e aiutato moltissime persone a scappare. Nei giorni successivi, New York è stata sigillata, nessuno poteva uscire né entrare, il cibo non arrivava e lui è rimasto sotto le Torri a organizzare gli aiuti, sopperendo ai problemi di approvvigionamento alimentare, facendo preparare ai suoi ristoranti pasti gratis per soccorritori e superstiti, e non per un giorno, ma quasi per due mesi, per tutto il tempo dell’emergenza. Tutti, a cominciare dai pompieri di New York, sono ancora oggi grati al cuore d’oro di un grande uomo, ristoratore per vocazione.

È una storia da film

È la storia di un grande italiano che ha passato tutta la sua vita negli Stati Uniti a raccontare e a promuovere la cultura italiana, fatta di cucina, musica, arte, bellezza, che ha raccontato la New York elegante, dove si suonava il grande jazz, ma anche la catastrofe seguita al crollo delle Torri Gemelle, un dramma che si è protratto per mesi nella piccola grande Manhattan. E’ una storia che si intreccia con migliaia di storie, che grazie a Tony hanno realizzato progetti di lavoro e sogni di vita. A Woody Allen piacerebbe moltissimo e Netflix potrebbe davvero farne un film.

Tony May ha lasciato un ultimo progetto da realizzare che sarà sua figlia Marisa a completare

Si, nascerà un nuovo ristorante al centro di New York, con una cucina rinnovata che va incontro al nostro tempo, a cui Tony si è dedicato con impegno e passione negli ultimi anni.

La storia di un uomo la racconta anche il suo funerale

I funerali di Tony a Saint Patrick sono stati qualcosa di grandioso, tante le personalità intervenute, gli amici, gli amici degli amici ma soprattutto la grande comunità italoamericana si è stretta intorno al suo simbolo, un uomo straordinario che ha fatto tanto per l’Italia e gli italiani in America. La sua storia non poteva che chiudersi in modo solenne.

Maria Teresa Rossi
Maria Teresa Rossi
Osservo, scrivo, racconto. Per la Fondazione Osservatorio Roma e per Osservatorio Roma il Giornale degli Italiani all'estero..

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